Poco più di una settimana fa è scoppiato l’ennesimo scandalo di reclutamento sui concorsi truccati alla Statale di Milano e qualche giorno dopo il prof. Galli, l’indagato di spicco, virologo del Sacco di Milano, volto noto al pubblico durante la pandemia, ha rilasciato queste dichiarazioni: “Potrei citare casi infiniti di persone la cui carriera è stata pilotata e il cui nome compare in lavori che non hanno nemmeno letto“. Casi infiniti. Proprio quando il Parlamento si appresta a discutere al Senato il ddl 2285 sul reclutamento dei ricercatori nell’università e negli enti pubblici di ricerca; ma sul tema delle commissioni pilotate sembrerebbe esserci un cambio di intenti rispetto al testo approvato dalla Camera.
La formazione delle Commissioni di reclutamento
Una polemica “infinita”, per citare il dott. Galli, che il Parlamento aveva chiuso questa estate, precisamente il 15 giugno quando alla Camera viene approvato il testo del ddl sul reclutamento dei ricercatori – e quindi dei futuri docenti – nel mondo dell’università e degi enti pubblici di ricerca italiani. Per mettere la parola fine alla cooptazione e al nepotismo baronale dell’accademia italiana il testo nello specifico della formazione delle commissioni rende di fatto impossibile decidere già prima quale nome dovrà avere il posto. Lo spiega a Corriereuniv il relatore Alessandro Melicchio: “L’obbligo di sorteggiare i membri, estraendoli da una banca dati contente i nominativi dei docenti, dirigenti di enti di ricerca pubblici, primi ricercatori, per macro settori con determinati requisiti e qualifiche, rende di fatto molto difficile pilotare una commissone su qualche “predestinato”. Soprattutto – afferma il politico ed ex ricercatore – se, come è scritto nel testo, la maggioranza dei membri della commissione deve essere presa obbligatoriamente fuori l’Ateneo in cui viene bandito il posto”. Seguendo anche una raccomandazione che si trovava già nella sezione “Istituzioni universitarie” dell’aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione .
Gli emandamenti al Senato
O almeno così si pensava. Si perché ora in Commissione Istruzione del Senato l’indirizzo posto in essere è un dietrofront. Nelle settimane prima dello scandalo milanese a palazzo Madama sono spuntati degli emendamenti che fanno ritornare punto e a capo le intenzioni nero su bianco del testo della Camera. E molti di questi vengono dalla maggioranza, tra Pd e Italia Viva, altri invece dall’opposizione di Fratelli d’Italia; tutte queste modifiche , però, sono concordi: bisogna reinserire la possibilità di qualche forma di cooptazione. E allora l’emendamento dei democratici Rampi e Marilotti vuole che “l’Ateneo può nominare fino a due componenti della commissione tra i professori di prima o di seconda fascia, nell’ambito del macrosettore concorsuale di riferimento, di ruolo presso la stessa università”, fermo restando la maggiornaza ad estrazione. Mentre quello della deputata Sbrollini di Italia Viva non si accontenta e vorrebbe l’estrazione: “all’interno di una rosa individuata dalla stessa università e almeno tripla rispetto ai commissari necessari“.
Insomma il diktat, scritto nero su banco dalla Conferenza di Rettori delle Università italiane (Crui) e dal Consiglio Universitario Nazionale (Cun) in estate, e per ora accolto da ministero, maggioranza (tranne i 5 Stelle) e l’opposizione, da adito a pochi dubbi. Una “corsa ai ripari” che assomiglia più alla frase di gattopardiana memoria: tutto cambia perché nulla cambi. I senatori, se dovessero approvare qualcuno di questi emendamenti, potrebbero motivare la loro decisione anche ricordando che questo era uno dei suggerimenti proposti dal Consiglio Universitario Nazionale nella sua adunanza del 28 luglio, a tutela “dell’autonomia che regola il sistema universitario” e per evitare “grandi discrepanze fra le commissioni, per la casuale presenza o assenza di docenti appartenenti alla sede che bandisce la posizione“. Per Melicchio “avremmo perso l’occasione per dare un segnale importante. Se parli con un cittadino qualunque la prima cosa che ti dice sono i problemi di accesso alle carriere universitarie dove già si sa chi deve passare”. I 5Stelle del Senato come voteranno questi emandamenti? “Certamente non a favore“. Attualmente al testo possono aggiungere ulteriori emendamenti solo il relatore (il vicepresidente Francesco Verducci del Partito Democratico) e il Governo.
La denuncia delle associazioni di categoria
Quella della formazione delle commissioni di reclutamento non è la sola criticità dell’impianto che dovrebbe riformare il mondo universitario italiano in ottica del cospicuo finanziamento dato dal Pnrr. “Quasi tutti gli emendamenti presentati in Commissione Istruzione al Senato non cambiano nulla dell’impianto del DDL sul precariato – afferma a Corriereuniv il prof. Nunzio Miraglia, coordinatore nazionale dell‘Associazione Docenti Universitari (Andu) – Positivo è solo il fatto che l’attuale assegno di ricerca diventerà un contratto di lavoro, con maggiori tutele previdenziali e di inquadramento dell’orario di lavoro ma sostanzialmente con lo stesso trattamento economico dell’attuale assegnista“. Ma anche con un costo raddoppiato, con il rischio che se il fondo per ordinario non venisse adeguatamente aumentato, gli atenei decideranno di assumere meno ricercatori con i nuovi profili. Non solo. “Com’è definito oggi può durare fino a 5 anni (invece che 3 come noi chiediamo) e viene definito a livello locale, che in assenza di una normativa nazionale di riferimento, potrebbe cambiare di volta in volta con criteri inseriti da chi assume il contrattista di ricerca“, spiega il docente.
Più in generale i tempi di precariato si dilateranno: fino a 3 anni di borse post lauream, 3 anni di dottorato, fino a 5 anni di assegno e fino a 6 anni di ricercatore ex di tipo B, si può arrivare a 17 anni. “Un’altra questione fondamentale è quella relativa all’abolizione del ricercatore di tipo A e all’introduzione delle borse post lauream. Fino ad ora gli Atenei hanno bandito diverse migliaia di posti di ricercatori di tipo A e poche centinaia di ricercatori di tipo B, cioè, questi ultimi, ricercatori che in gran parte diventeranno professori associati – ricorda Miraglia – La maggior parte dei posti di ricercatori di tipo B sono stati voluti e finanziati direttamente dal Ministero perché le singole Università hanno preferito avere ricercatori precari, e questo non per una mera questione economica (i ricercatori di tipo A sono relativamente ben retribuiti), ma soprattutto perché si tratta di una figura ‘perfettamente’ precaria e quindi più gradita a chi la può sfruttare senza doverla stabilizzare”. Quindi assenza del ricercatore di tipo A, i quali però stanno vendendo già un massiccio reclutatmento in questi mesi dagli Atenei italiani perché obbligati a spendere le risorse del Pnrr, il mondo accademico si rivolgerà agli ex assegnisti di ricerca.
Investire in ricerca di base (e reclutamento)
Come risolvere la problematica? Le parti sociali lo hanno proposto in un documento che affronta tutto l’impianto della riforma, firmato da Adi, Andu, Flc Cgil, Cisl Università, Cnu, Rete 29 aprile, Arted, Università Manifesta. “La stabilizzazione dei 30mila precari già esistenti della ricerca (2 miliardi il costo stimato), un atto imprescindibile dall’approvazione del ddl e della finanziaria – afferma il coordinatore dei docenti universitari – Ormai anche il Ministro riconosce che c’è un ritardo che va colmato, ma fino ad ora nella riforma non ci sono le risorse necessarie in tal senso”. Il ddl infatti non ha nessun finanziamento, si aspetta per questo la legge di Bilancio.
Nei giorni scorsi è stato proprio il premio nobel Giorgio Parisi a redarguire il Governo che lo aveva elogiato per l’ambito premio: “Servono almeno 1.1 miliardi in legge di Bilancio per la ricerca di base“, aveva risposto al premier Mario Draghi. Mentre per ora il Pnrr finanzia con 5 miliardi la ricerca applicata (privata) dando la possibilità ai dottorandi di scegliere o il periodo all’estero(da 6 mesi ad 1 anno) oppure trascorrere questo lasso di tempo in un’azienda. Proprio il fisico è uno dei firmatari del piano Amaldi per la ricerca pubblica: passare da qui al 2026 dallo 0.5% del Pil speso in ricerca pubblica all’1% della Germania raggiungendo i 20 miliardi di spesa l’anno. Ma a Parisi “basterebbe agganciare la Francia che spende tra lo 0,7 e lo 0,8 del Pil”.
“Se le risorse del pnrr non verranno legate ad una spesa corrente ed equivalente da parte dello Stato dove ora abbiamo uno squilibrio tra ricerca di base e trasferimento tecnologico alle imprese, il Governo fallire la sfida sulla ricerca – spiega a Corriereuniv Francesco Sinopoli, segretario Flcgil – nell’idea del Governo questo dovrebbe impattare sul mondo produttivo, condizionati anche dall’Ue su questo aspetto, la responsabilità politica del Governo e del Paese qui si vedrà se verrà stabilizzato il finanziamento del reclutamento e quindi della ricerca nella spesa corrente dello Stato, attenuando quel gap che ci separa dalla media Ocse“. Per il sindacalista è la “sfida” del Governo e di tutte le forze politiche dopo anni di definanziamento dell’Università e della ricerca a partire dalla legge Gelmini del 2011. “Lì tu investirei nella scienza fondamentale, quella di base, che fa fare i veri salti tecnologici ad uno Stato – e conclude – per aumentare progressivamente la spesa in ricerca bisogna dotarsi di una riforma del reclutamento che stabilizzi davvero i precari e gli faccia fare ricerca”. E su questo punto lascia poco spazio ad interpretazioni l’intervento al Senato sul reclutamento dell’ex ministra Maria Chiara Carrozza, attuale presidentessa del Cnr, Fisico ed ex ricercatrice: “Personalmente la mia vita è cambiata quando a trentatré anni ho avuto il primo contratto a tempo indeterminato. Ho vinto un concorso e dopo che l’ho vinto io ho lavorato molto di più di prima e meglio di prima, quindi so quanto può rappresentare questo e quindi vi ringrazio per tutto quello che farete in questo senso”