Rischio meno 10 mila iscritti a settembre. L'allarme: "Conte ha ascoltato tutti tranne noi studenti"

Non solo le politiche giovanili sono state le grandi assenti degli Stati generali di Giuseppe Conte, anche il mondo universitario si è sentito poco rappresentato. Anzi, per nulla. “Non hanno invitato neanche i rappresentanti degli organi istituzionali come il Consiglio nazionale degli studenti universitari, chiaro segno che l’Università non è tra le priorità del piano di rilancio”, ad affermalo è Enrico Gulluni segretario dell’Unione degli universitari (UDU). “Non sarà certo l’aumento della no tax area da 13 mila a 20 mila euro di Isee, e la calmierazione fino a 30 mila, ad arrestere l’emorragia imminente”. A confermarlo è anche lo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che nel suo ultimo rapporto ha stimato che nell’anno accademico 2020/2021 gli Atenei potrebbero perdere circa 10 mila matricole. I due terzi del totale farebbero riferimento alle regioni del Sud.

Lo aveva detto anche il ministro Gaetano Manfredi: “L’emergenza Coronavirus – e tutte le incertezze derivanti dalle misure precauzionali – potrebbero portare a un crollo delle iscrizioni alle Università”. La valutazione, sottolineano Luca Bianchi e Gaetano Vecchione (Svimez – Univ. Federico II Napoli), è basata su «quanto accadde nella precedente crisi»: replicando lo schema che si è manifestato all’indomani dell’A.A 2008-2009 – dove si persero 20mila iscritti in due anni – e nell’ipotesi di un peggioramento dei tassi di passaggio scuola-Università rispetto agli anni precedenti, l’associazione ha stimato che il numero di immatricolati in meno su scala nazionale potrebbe ammontare a circa 9.500, di cui circa 6.300 nel Mezzogiorno e 3.200 nel il Centro Nord. Numeri calcolati a fronte di una stima approssimativa di 292 mila maturati al Centro Nord e 197 mila al Sud.

“Dato che si il presidente Conte ha più volte parlato di programmazione a lungo termine, chiediamo che si apra una seria discussione sul modello universitario che vogliamo – afferma lo studente – perché non usare parte dei fondi per abbattare totalmente le tasse universitarie e parallelamente aumentare l’accesso alle borse di studio? Questo potrebbe essere un vero supporto alle famiglie”. La proposta degli studenti è di arrivare ad un tetto di 30 mila euro di Isee per la no-tax area. E portare l’accesso alle borse di studio per gli Isee fino a 30 mila euro (oggi il tetto di ferma a 23 mila) e l’Ispe – l’indicatore patrimoniale – da 50 a 70 mila euro. Concordi sulle tasse anche i professori dello Svimez per cui bisognerebbe “prevedere, in conseguenza della crisi, una borsa di studio statale che copra l’intera retta 2020 nelle Università pubbliche, vincolata al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano di studi nel primo anno di corso”.

“Penso a quelle famiglie di piccole partite iva – afferma Gulluni – che non sono nei redditi bassi ma che nei mesi precedenti non hanno guadagnato nulla quindi neanche l’Isee può essere un parametro di valutazione afficace. Abbiamo chiesto – continua – che venisse data la possibilità agli studenti di presentare un’autocertificazione per provare tale contrazione reddituale delle loro famiglie”. E inoltre: “Non dobbiamo dimenticarci che queste sono tutte misure per il prossimo anno. Ma ci sono problematiche stringenti sorte durante l’emergenza non sono stati affrontate dal Governo: gli affitti e le scadenze delle rate di quest’anno. Una famiglia che era in difficoltà prima lo è a maggior ragione ora”.

Nell’ambito dei finanziamenti europei per il supporto ai Paesi membri più colpiti dal Covid-19, lo Svimez propone di “considerare l’Università come fondamentale infrastruttura pubblica dello sviluppo destinando risorse specifiche del piano europeo Next Generation per rafforzare il diritto allo studio nelle regioni a più basso livello di reddito così da evitare che la crisi anche questa volta finisca per aumentare le diseguaglianze“. Un piano, quindi, per provare a ridurre una volta per tutte il divario – soprattutto digitale – che esiste tra gli Atenei del Sud e quelli del Nord. Ma gli studenti avvertono: “Il diritto allo studio vale per tutti, non si devono formare studenti di prima o seconda classe. Non è possibile che questo Governo parli di futuro per poi lasciare il mondo universitario in balia di se stesso come stanno facendo per le riaperture – sottolinea Gulluni – è paradossale che per qualsiasi attività sia stata prevista una ripartenza chiara tranne per l’Università”. Questo è lo stato dell’arte sugli investimenti in un futuro, i giovani, ancora una volta dimenticato.

Marco Vesperini

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