“Ho pensato al suicidio, sono vivo solo grazie all’affetto dei fan, della famiglia, e di Internet”. Fa discutere, e farà discutere, l’intervista di Vasco Rossi a Repubblica. Nella chiacchierata con Carlo Moretti il Blasco si confessa: “Volevo mollare tutto. Volevo dimettermi da rockstar. Per tre giorni sono stato quasi in come. Poi mi sono ripreso, lentamente”. Ora, però, tutto sembra tornare alla normalità. Il Komandante sta per tornare negli stadi italiani, per un’estate di fuoco. Ecco l’intervista integrale.
Vasco, si torna sul palco.
“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a ballare. È questo il concetto, nel mio caso. Avevo lasciato una cosa a metà e ho pensato fosse giusto portarla a termine. Ma è anche una bella scusa, perché avevo voglia di tornare a cantare: ho intenzione di morire su un palco, io, mica in un letto d’ospedale”.
La malattia è dunque superata.
“Non una malattia, ma la mia guerra contro un batterio killer che ho battuto. La chiamano “malattia del terzo millennio”: l’11 settembre dello scorso anno ho avuto la terza ricaduta, ho dovuto fermarmi, è stata pesantissima ma ora tutto è superato. Sono stato di nuovo in terapia intensiva, attaccato alle flebo, ho perso conoscenza per tre giorni, poi venti giorni di cure e la riabilitazione. Questo streptococco vive normalmente sulla pelle ma quando trova una ferita o un’infiammazione entra in circolo e, se ti trova con le difese immunitarie basse, comincia a distruggere tutto sino a farti fuori, in un mese. È la stessa cosa che nell’800 ha ucciso Johnny Walker, quello del whisky: si potrebbe dire di tutto e invece, guarda un po’, a me e a Johnny Walker ci unisce solo lo streptococco. Lui però è morto, io sono ancora qua: ora per fortuna ci sono gli antibiotici”.
Dev’essere stata un’esperienza durissima.
“Fino a due anni fa io non ero mai stato in un ospedale, mai una malattia più lunga di tre giorni, quindi puoi capire che sorpresa che mi arrivasse un conto del genere. Sono stato particolarmente male tra ottobre e novembre, non mi muovevo più bene, iniziavo a non essere più autosufficiente, la mia famiglia mi è stata molto vicina. Un braccio mi si era bloccato, non riuscivo a mangiare con la forchetta e neanche più a masticare, era colpa delle medicine e quando le ho sospese e ho cominciato a fare la fisioterapia ho ricominciato a poco a poco a muovermi”.
Si sente cambiato da questa esperienza?
“Mi sembra di cogliere un aspetto in più in tutte le cose, che per la verità in alcuni casi non mi fa neanche piacere coglierlo, ma in molti altri mi dà gioia, cose semplicissime, come incontrare i fan, sono un uomo nuovo. Perché è vero che se uno nasce tondo non può morire quadrato, ma nel mio caso è anche vero che sono nato incendiario e sto morendo pompiere”.
Niente più dimissioni da rockstar, dunque.
“Negli ultimi tempi ero stanco di tutto, le dimissioni da rockstar erano figlie di questo sentimento. In realtà volevo decostruire, volevo tornare al Vasco Rossi che scrive le canzoni, abbandonare il ruolo della rockstar, che è fatto di gesti e modi di essere, di luci. Volevo tornare ad essere il cantautore che sono. Ho pensato anche al suicidio. Ma non ho visto la luce nella fede, mi ha aiutato l’affetto della mia famiglia, dei fan, mi è stato di conforto Internet”.
Già, i suoi interventi su Internet tutti giorni, poi il silenzio.
“Facebook è stato il mio compagno di viaggio in questi due anni, ho scoperto il gioco di stare insieme a tanta gente stando seduto da casa, come in un bar virtuale. C’è sempre una persona, però, dall’altra parte. Mi sono divertito un bel po’ nel mio profilo pubblico, l’ho trovato uno strumento potentissimo di comunicazione per poter dire la mia e difendermi da quelle immagini che mi vengono appiccicate addosso, ho fatto un po’ di guerra ai pregiudizi anche se le guerre ai pregiudizi non si vincono neanche da morti. Stavo attaccato al computer dalla mattina alla sera, non andavo neanche a mangiare, mio figlio Luca si lamentava, “Puoi staccare con l’iPad almeno mentre mangiamo?”. Non facevo più nient’altro, dipendenza totale”.
Stesso tour, stessa scaletta.
“Sì, ma ho inserito canzoni più dure, di carattere più sociale che ho scritto 20 anni fa e sono incredibilmente ancora d’attualità, tipo C’è chi dice no, Gli spari sopra e Stupendo. Negli anno Novanta io già sentivo questo clima. Meglio, lo sentiva l’artista che è in me, non io. Sentivo l’arroganza del potere, il disprezzo, la mancanza di serietà da parte di chi fa politica. Le mie canzoni sono metafore, non invito certo a prendere le armi e a fare la rivoluzione, ma sentivo questa rabbia che cresceva e l’indignazione da parte della gente che poi si è dimostrata con lo straordinario successo del Movimento cinque stelle… che adesso sembra quasi esaurito, tutto cambia così in fretta. Anch’io avrei auspicato che si partisse subito per risolvere i problemi, però i Cinque stelle hanno voluto mantenere questa purezza del “tutti a casa”, e invece avrei fatto una distinzione tra il Pd e il Pdl, perché non sono mica la stessa cosa. Lo dico da cittadino, non da politico, anche se io da sempre sono radicale, pre-pannelliano, post-pannelliano e pro-boniniano”.