Un 27enne italiano alla guida di una Ong apre una scuola per bimbi rifugiati in Turchia

Intervista a Nicolò Govoni, nato a Cremona, che racconta il suo progetto di dare una formazione ai bambini profughi: ora è fra i nominati alla candidatura per il Nobel per la Pace

Una scuola internazionale di alto livello per dare un’occasione ai tanti bambini profughi che si riversano con le loro famiglie in Turchia dai paesi in guerra: è in procinto di aprirla a Gaziantep, città di confine con la Siria, Still I Rise, ong al fianco dei profughi e migranti, il cui co-fondatore e presidente è un ragazzo italiano, Nicolò Govoni, 27enne di Cremona.

Govoni ha da poco ricevuto una notizia che lo riguarda personalmente e che ha accolto con un misto fra incredulità, felicità e soddisfazione: è fra i nominati alla candidatura per il Nobel per la Pace. A proporre il suo nome è stata “Sara Conti, una parlamentare di San Marino – spiega un emozionato Nicolò all’AGI – per il lavoro che ho svolto con l’associazione. Una cosa incredibile, mai immaginato che si potesse arrivare a tanto”.

Dopo un lungo periodo trascorso in India, dove è cresciuto anche professionalmente lavorando come giornalista, scrivendo il libro ‘Bianco come un Dio’, il cui ricavato ha consentito l’apertura di una biblioteca al villaggio dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home dove è rimasto per 4 anni, Nicolò ha trascorso un breve periodo in Palestina, per poi giungere in Grecia. Qui, a Samos, ha lavorato con una organizzazione umanitaria locale da cui poi si è allontanato fondando, con altri volontari, la sua Still I Rise e dando vita al progetto Mazi, la scuola per i bambini profughi, alternativa vincente alla desolazione del campo profughi.

Adesso è pronto ad un altro salto, sull’altra sponda, per l’esattezza in Turchia, dove con un altro gruppo di giovani come lui, Govoni sta per aprire la prima Scuola Internazionale per minori rifugiati. Un progetto ambizioso, sorretto anche da un partner di grande rilievo nel campo dell’educazione scolastica a livello mondiale, cui seguirà a stretto giro l’apertura di altre scuole in Kenya, poi in Messico e in Italia.

Tutto questo affrontando non pochi pericoli fra mafie locali, minacce, ritorsioni per lui e per i suoi colleghi, pastoie burocratiche infinite, a volte anche per scoraggiare l’iniziativa. E sempre con un solo obiettivo: aiutare quanti più minori possibile, toglierli dalla quotidianità di profugo consentendo di accedere invece ad un progetto educativo di livello.

A Samos Nicolò ha dato vita a Mazi, una scuola per bambini profughi dove i volontari hanno messo l’anima per cercare di strappare i piccoli all’inferno dell’hotspot dove vivono oltre 7000 per una capienza di circa 650 stipati in condizioni disumane. Oltre la metà degli ospiti è composto da donne e bambini e oltre 400 minori non accompagnati.

Fra questi, Nicolò ha conosciuto Hammudi, un bambino la cui storia è narrata nel suo secondo libro ‘Se fosse tuo figlio’, il cui ricavato dalle vendite è andato sempre per i progetti legati a Still I Rise. Dopo Mazi, Nicolò si è spostato in Turchia, dove sono presenti 3,5 milioni di profughi siriani e afghani, di cui il 70% donne e bambini. A Gaziantep, città di confine con la Siria, Nicolò culla il suo progetto di Scuola Internazionale vicino ormai alla realtà: “Siamo prossimi all’apertura – afferma Govoni – la ristrutturazione è quasi completata. L’incognita sono i permessi che servono per farla diventare una scuola riconosciuta a tutti gli effetti. Il processo è molto ostico, ma noi cerchiamo di essere ottimisti”.

In quanti siete? “Nei cinque paesi i cui operiamo come Still I Rise, siamo una cinquantina, tra staff e volontari, di ogni nazionalità, dal Sud America a Singapore. Ora qui in Turchia siamo in 6 coordinatori. Non abbiamo ancora volontari perché non essendo ancora attivo il progetto siamo solo staff. Fra i sei ci sono tre italiani: Michele, Nicoletta ed io”.

“C’è una grande differenza rispetto alla scuola di Samos – spiega Govoni – dove si seguiva un curriculum scolastico ma a causa delle condizioni del luogo, non era riconosciuta e non la sarà mai. I bambini a Samos restano magari un anno, e poi, nel giro di una notte li trasferiscono. In questo modo, è molto difficile riuscire a concludere un percorso di studi. In Turchia ci stiamo apprestando a compiere un passo in più, la continuità ci sarà. Sarà una scuola a tutti gli effetti. In Kenya c’è un altro team che sta operando allo stesso modo. Contiamo di aprire nel 2020 una scuola anche nel paese africano. Ma la novità sono le altre due scuole che verranno aperte nel 2021 in Messico e in Italia, dove siamo ancora in fase di studio per trovare la località giusta”.

Quindi quattro scuole con approccio diverso da quella di Samos: “Sì, sono scuole molto diverse. Non nello spirito, però perché l’approccio educativo basato sull’individuo è sempre la base sui cui poggia tutto ma stavolta, si tratta di scuole riconosciute da una grande organizzazione internazionale con cui saremo in partnership, il cui nome non posso ancora rivelare perché stiamo lavorando agli ultimi step. Posso dire che è una organizzazione che apre scuole ovunque nel mondo, anche in Italia. Scuole la cui retta costa sui 20.000 euro annui a studente. Noi abbiamo avuto la fortuna o comunque l’abilità di assicurarci questa partnership con questa organizzazione. Quindi apriremo quella che è la prima scuola internazionale per profughi al mondo, non esiste un concept così”.

“Offriremo un diploma – spiega con orgoglio – a dei bambini profughi che non solo non hanno soldi, ma non hanno nemmeno prospettive nè le condizioni per avere un futuro decente. E lo offriremo gratis. Tutte le scuole che apriremo sono per un massimo 150 studenti in modo da preservare un ottimale rapporto con gli insegnanti. A Gaziantep vogliamo aiutare 150 giovani profughi fra i più promettenti, ad avere un’occasione per diventare magari, in futuro, leader anche nei loro stessi paesi d’origine”.

“A Gaziantep – spiega ancora Govoni – di profughi ce ne sono 500.000, è una città di 1 milione e mezzo di abitanti, se si fa una statistica, 200.000 saranno minori, almeno che non apriamo una scuola per 200.000 persone, gli altri comunque non potranno beneficiare di questo servizio. La nostra è una scelta qualitativa, non quantitativa. Questa è la differenza più grande tra noi e tutte le altre ong della nostra dimensione. Le altre ong puntano ai numeri, al breve termine. Le grandi ong, distribuiscono 200.000 coperte e altrettanti pasti e poi lasciano i profughi a marcire nei campi. C’è questo interesse a coprire l’immediato, nei numeri più grandi possibili, così da far vedere nei loro report quante persone hanno aiutato. Questo però , è un aiuto di 5 minuti verso persone che poi rimarranno impossibilitate di fare qualsiasi cosa. Noi preferiamo dare la possibilità a un numero limitato e farlo accedere al meglio del meglio, così che queste persone possano riabilitare e nobilitare tutta la loro comunità”.

Perché aprire anche in Italia? “Siamo partiti dalla Grecia non per scelta ma per necessità – aggiunge – ci siamo trovati a fare i volontari a Samos. La situazione era così improponibile che con Giulia e Sara ci siamo detti: ‘dobbiamo fare qualcosa’ e abbiamo risposto a una necessità. Per le scuole che apriamo adesso invece, scegliamo i luoghi più appropriati, cioè dove la popolazione può restare a lungo termine e non sparisce da un giorno all’altro. Luoghi dove è possibile finire il percorso di studi, e dove c’è una stabilità maggiore nella difficoltà di vivere da profugo. Turchia, Kenya e Messico, sono detti paesi “TERZI SICURI”, paesi intorno ai quali esplode il mondo ma hanno comunque una economia relativamente stabile. Il Kenya ad esempio, è un paese stabile per essere africano, ed ha confini che esplodono come Somalia, Sudan, Etiopia. Vogliamo permettere a questi bambini che vengono in questo tipo di scuola e che si diplomeranno , di avere un futuro anche nel Kenya stesso, magari in Italia o tornando nel Paese d’origine”.

Turchia, Messico, Kenya , spiega ancora Nicolò Govoni, “sono stati scelti per creare futuro e opportunità, e l’Italia non è diversa da loro, perché arrivano molti profughi che la considerano anche Paese di transito. Noi vogliamo dare il nostro contributo anche nel nostro Paese mostrando ai profughi che c’è un motivo per restare, per investire. E vogliamo aiutare anche gli italiani che hanno bisogno. Nel nostro modello di scuola, noi prevediamo 70% profughi e 30% bambini poveri del luogo. Bambini che non possono permettersi una educazione privata di alta qualità. In Italia avremo quindi una quota di bambini scelti fra le periferie e i quartieri più difficili della città da integrare nella scuola. Intanto Contiamo di aprire in Kenya nella seconda metà del 2020, probabilmente a Nairobi, dove ci sono 2 enormi campi profughi che stanno a est e ovest, uno vicino alla Somalia l’altro vicino al Sudan. Questi campi sono qualcosa di inumano”. 

agi

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