Settimana corta, il nuovo “must” dell’Europa

calendario-1.jpgDiventato lo slogan del momento in tutto il mondo, non poteva non essere esportato anche in Italia. Al richiamo del “lavorare meno, lavorare tutti” anche Sacconi ha deciso di rispondere all’appello, inserendo il nostro Stivale tra i paesi che cambiano il proprio modo di lavorare.
Per il ministro è infatti doveroso esprimere preoccupazione per una crisi che sta passando dai mercati finanziari alle persone. “Dobbiamo prima di tutto pensare di garantire il minimo vitale – ha dichiarato – e se possibile un’attività formativa che rafforzi le competenze dei lavoratori in modo che il tempo di non lavoro sia comunque utile”.
In realtà tra i primi fautori del “lavoro condiviso” c’è una piccola isoletta del Giappone, Himeshima, dove non esiste la parola “disoccupazione”. Da oltre 40 anni, “lo scoglio da 2.700 anime” è riuscita a superare grandi depressioni grazie al suo innovativo contratto di lavoro collettivo: il work-sharing.
Ignorato da tutti nel passato, oggi sembra trovare approvazione nelle aziende automobilistiche tra cui Toyota, Mazda, Isuzu e Mitsubishi, che a causa della crisi finanziaria dovrebbero ridurre il personale. L’idea alla base è, infatti, quella di lavorare di meno per far lavorare tutti. Il work-sharing prevede così di rinunciare a qualche ora di lavoro mantenendo però il posto e contribuendo a non bloccare l’economia del proprio paese.
Altra nazione supporter dello “slogan”, l’Inghilterra. Londra sembra che stia addirittura pensando alla settimana cortissima, con tre soli giorni di lavoro, mentre il Financial Times ha cercato di rendere meno traumatico il distacco dalla redazione, proponendo una gamma di opzioni per ridurre l’orario.
A chiudere il cerchio dei fedelissimi la Germania di Angela Merkel che ha scelto la strada della settimana corta, allentando i ritmi lavorativi ed incentivando con aiuti statali le riduzioni d’orario. Perché in fondo che “lavorare stanca”, lo sottolineava anche Pavese in uno dei suoi libri di maggiore successo, ma che “lavorare meno non vuol dire lavorare tutti è ampiamente dimostrato nella letteratura”, come sostiene Tito Boeri, professore alla Bocconi, in un’intervista al quotidiano La Repubblica.
“Ogni volta che si è stabilito per legge una riduzione obbligatoria dell’orario di lavoro – ha sottolineato il professore – non solo si sono distrutte le ore, ma anche i posti di lavoro. L’unica strada che si può percorrere è quella della contrattazione aziendale, caso per caso, in base alle esigenze specifiche di datori di lavoro e lavoratori”.

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