Zerocalcare: "La mia generazione si è dannata l’anima per trovare un posto nel mondo e ha visto tradite le sue aspettative"

“È che i trentenni non esistono più, come gli gnomi, il dodo e gli esquimesi. Adesso c’è l’adolescenza, la post-adolescenza e la fossa comune. I trentenni sono una categoria superata, a cui ci si attacca per nostalgia, come il posto fisso”. Così Zerocalcare illustrava una sua striscia qualche tempo fa. La realtà, oggi che il Michele Rech, Zerocalcare in carne ossa e inchiostro, è alla soglia dei 32 anni, non sembra essere molto lontana da quella disegnata nei suoi fumetti. Nell’intervista rilasciata alla Stampa, che riportiamo di seguito, l’illustratore romano racconta lucidamente la sua condizione e quella di migliaia di coetanei, tra contratti inesistenti e una pensione cui è meglio non pensare, tra la laurea in biologia e il lavoro da camerieri, alla ricerca di una soluzione collettiva.
 
Dal lavoro precario a quello “a vita”, senza sicurezze sulla pensione. Generazione sfortunata? E che effetto fa farne parte?  
“Mi terrorizza abbastanza, ma spero che, a differenza di oggi, tempo in cui ognuno si affanna per conto proprio, cercheremo una soluzione collettiva: il problema riguarderà tantissimi di noi”.
Perché scrivevi che i trentenni non esistono più?  
“Quella vignetta è di qualche anno fa, ma la situazione non è cambiata. Quando ero ragazzino i trentenni li vedevo adulti: avevano un loro preciso posto nel mondo. Rispetto a loro, per me e tanti miei coetanei la vita non è molto cambiata dalla fine della scuola. Siamo ancora in bilico fra un lavoretto e l’altro. Alcuni costretti a vivere con i genitori, altri a reinventarsi continuamente. Io mi sento un privilegiato ora che posso pagarmi l’affitto facendo per di più quello che mi piace”.
Qualche anno fa l’allora ministro Fornero disse che certi giovani sono troppo schizzinosi col lavoro. Qualche rimprovero da fare a questa generazione?  
“Non scherziamo. Questa è una generazione che nella maggior parte dei casi non riesce a fare il lavoro per cui ha studiato. Ho amici che si sono laureati in Biologia e insegnano nuoto, in Psicologia e fanno le babysitter, in Storia e fanno i camerieri. E comunque non basta. Questa è una generazione generosa, che si è dannata l’anima per trovare un posto nel mondo e ha visto tradite le sue aspettative”.
Rischi di una guerra generazionale fra chi ha e chi no?  
“Parlo per me, e certamente no. Non ho mai pensato che per ottenere diritti io avrei dovuto toglierli ad altri. I diritti si estendono, non si riducono. Non c’è risentimento, se non nei confronti di una classe politica che ci ha portati fin qui”.
Nelle tue strisce, molto popolari soprattutto fra lettori della tua generazione, racconti di precariato ed eterna giovinezza. Da piccolo ti immaginavi con il posto fisso e la famiglia a 30 anni?  
“Sì, non sapevo cosa avrei fatto, ma pensavo che sarei stato sui binari giusti. Non pensavo di rimanere fuori dai cicli della produzione. Come mi è successo prima, perché ripeto, oggi sono un privilegiato, e come succede a tanti della mia età, che faticano a pagare l’affitto e devono vivere con tre coinquilini. Molti finiscono a spacciare, nelle borgate succede”.
Nelle periferie, come quella che racconti, Rebibbia a Roma, è più difficile trovare il proprio posto?  
“Bisogna capire cosa significa periferia. A Rebibbia, come ovunque, c’è di tutto: chi non ha la terza media e chi è laureato. Certo, però, se si parla di lavoro offre meno”.
Nelle tue tavole si parla poco di pensione. Nella realtà? Hai mai pensato alla tua?  
“A farlo mi viene un’ansia tremenda. Non so che tipo di pensione potrò avere, è tutto fumoso. Prima di fare il fumettista ho avuto contratti di un mese e mezzo, e a molti amici non hanno mai nemmeno pagato i contributi. Tra noi non si parla molto di pensione, tutti danno per scontato che non l’avremo. Ma riguarda tanta gente: qualcosa, tutti insieme, dovremo inventarci”.
 
Qui sotto Michele Rech, in arte Zerocalcare
michele rech zerocalcare

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