Vampiromania: dal fascino del proibito all'integrazione del diverso

I motivi di oltre un secolo di successo dei vampiri nella letteratura, nel cinema e in televisione

Mai come negli ultimi anni i vampiri hanno riscosso tanto successo nel cinema come nella letteratura. Dai classici Dracula di Stoker, Vampyr di Polidori e Carmilla di Le Fanu alle serie moderne e contemporanee di Anne Rice, Laurell K. Hamilton, Charlaine Harris e Stephanie Meyer, i romanzi sui vampiri monopolizzano  interi scaffali delle librerie. L’interesse dei produttori televisivi e cinematografici non ha tardato a manifestarsi: se la saga di Twilight sta per vedere il suo terzo adattamento per il grande schermo (l’atteso Eclypse), la serie televisiva True Blood di Alan Ball è solo l’ultimo di una lista di successi che parte da Buffy l’ammazzavampiri e passa per Angel e Moonlight. Ma perché i vampiri ci piacciono tanto?
Il tema del vampirismo, rintracciabile pressoché in tutte le culture del mondo, ha rasentato  l’ossessione in quella europea di fine Ottocento. Il conte Dracula, nell’immaginario collettivo, rappresenta l’irrazionale, il magico, il misterioso, in sospeso tra il Bene e il Male, tra la Vita e la Morte, tra la Morte e l’Immortalità. La sua comparsa nella Londra vittoriana, notoriamente convenzionale e repressiva, scuote alle fondamenta il sistema di valori su cui la società si fonda. Impermeabile a qualsiasi costrizione, Dracula vuole solo soddisfare le sue esigenze primarie, noncurante delle conseguenze.
Ed è proprio il fascino del proibito che ha attratto pubblici di intere generazioni verso le innumerevoli versioni cinematografiche del conte transilvano e dei suoi simili, consacrando il genere nel mondo della celluloide: dai classici di Murnau (Nosferatu), Browning (Dracula) e Dreyer (Vampyr), ai più recenti Miriam si sveglia a mezzanotte di T. Scott, Dracula di Bram Stoker di Coppola e Intervista col vampiro di N. Jordan, che hanno, più o meno esplicitamente, messo in risalto la componente sessuale degli appetiti vampireschi. La componente sessuale, legandosi direttamente alla tematica amorosa in un contesto di violenza e di morte, ha generato nei vampiri “moderni” la dialettica tra l’istinto di liberare le pulsioni e la necessità di frenarle con la ragione così da proteggere l’oggetto dell’amore. L’horror ha assunto così caratteri fortemente romantici, a vantaggio delle psicologie dei personaggi protagonisti e della loro credibilità.
Nel terzo millennio si è andati oltre: il prototipo del nuovo vampiro è il “vegetariano” Cullen di Twilight, che vive la dicotomia tra sentimenti conflittuali e momenti di debolezza, tipicamente umani. Questa componente ha permesso l’identificazione da parte di milioni di lettori e spettatori, ritrovando nelle loro storie un messaggio che va oltre l’eterna lotta tra Bene e Male. In Twilight, così come in True Blood, si raccontano le difficoltà di convivenza tra gruppi tradizionalmente nemici, umani e vampiri, vampiri e licantropi, vampiri e Volturi. Si evidenziano i pregiudizi, si propongono coesistenze pacifiche. La figura del vampiro si è così trasformata in un simbolo di diversità e, al contempo, di integrazione, in cui chiunque si è sentito o si sente emarginato o incompreso può rispecchiarsi.
Giulia Cantarini

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