Pnr, 15,4 miliardi per l’università e la ricerca

Borse di studio: esentare in maniera o chi ha un reddito Isee inferiore a 23.500 euro e aumentare di 700 euro il contributo

Come verranno ripartiti i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’università e la ricerca? Il piano è legato – missione 4, tutto inviato il 12 gennaio alla Commisione europea dal Governo Conte – all’istruzione. E’ un documento del governo uscente, vale 15,37 miliardi e deve essere confermato dall’esecutivo in carica e dalla ministra dell’Università e della Ricerca Cristina Messa. Serviranno ancora tre settimane per la definizione completa, ma è probabile che questo piano nei suoi riferimenti generali sarà simile a quello del precedente esecutivo. Patrizio Bianchi lo ha già fatto con quello sull’istruzione, presentato ieri in commissione Istruzione al Senato. 

Bene, per il comparto università ci sono 3,6 miliardi di euro in totale. Un miliardo è previsto per creare nuovi alloggi per gli studenti. La pandemia ha cambiato il modo in cui si seguono le lezioni universitarie e una buona parte di questa cultura online resterà anche quando gli atenei riapriranno le loro aule, ma la mancanza di residenze unversitarie è sempre stato un elemento di gracilità del sistema dell’alta formazione italiana. Con le risorse del Recovery gli esecutivi – Conte e Draghi – vogliono aggiungere tra i cinquantamila e i centomila “asili dormienti” ai quarantamila esistenti, che oggi servono solo il 3 per cento degli studenti (a fronte di una media euopea del 18 per cento). Nella prima bozza inviata si parla di una partecipazione al costo dei nuovi alloggi da parte degli studenti, che pagheranno un quarto del canone prefissato con meccanismi collegati al reddito delle loro famiglie. Le strutture, che si prevedono realizzate in un quinquennio, potranno essere utilizzate con finalità turistiche nei periodi non universitari. Questo livello di dettaglio, tuttavia, dovrà essere confermato dall’attuale governo.

Ci sono, ancora, 1,35 miliardi per l’università sul rafforzamento delle borse di studio e l’abbassamento delle tasse universitarie (che per l’anno accademico in corso sono state già calmierate). Si mira a esentare in maniera strutturale dal pagamento chi ha un reddito Isee inferiore a 23.500 euro e a far crescere di 700 euro in media il peso delle stesse borse, che andranno distribuite a una platea più larga di studenti. 

L’investimento speciale europeo prevede 500 milioni sull’insegnamento delle competenze universitarie (e delle scuole superiori) avanzate: digitali, ambientali e di internazionalizzazione, innanzitutto. Anche per i master post-laurea. Altri 500 milioni saranno investiti sulla cooperazione tra gli atenei e i territori in materia di formazione professionale, progetto, questo, che durerà fino al 2026. Con 250 milioni il ministero dell’Università gestirà, ancora, l’orientamento dei diplomati verso gli atenei.

Riforma dei percorsi universitari

Si prevede, e questo cambiamento non ha costi, la riforma dei diplomi universitari con l’abbattimento dei blocchi di crediti nelle diverse materie per la costruzione, già dall’anno accademico 2022-2023, di un percorso davvero interdisciplinare. E così i dottorati, che devono diventare il punto di riferimento “della classe dirigente pubblica e privata del Paese”. Si progetta, quindi, di armonizzare l’ottenimento del diploma di laurea con gli esami di abilitazione alla professione. Nel documento inviato a Bruxelles si legge: “l’istruzione terziaria italiana è priva di finanziamenti e il suo personale insufficiente”. Questa realtà ostacola “una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile” dell’intero Paese. Solo il 27,7 per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni, dati del 2018, inizia e conclude un corso universitario. 

Sul fronte della ricerca, e sviluppo, si prevede un investimento con risorse Recovery pari a 11,77 miliardi. Tra queste, 1,61 miliardi per l’università servono per mettere atenei, centri di ricerca e imprese (partenariati) finanziando nuovi progetti di ricerca; 600 milioni andranno per progetti presentati da giovani ricercatori; 100 milioni sono destinati in maniera precisa all’innovazione. Ancora, 1 miliardo per iniziative baste sul modello Ipcel nell’innovazione; 850 milioni aggiuntivi sul Programma nazionale per la ricerca (Pnr); 1,58 miliardi saranno investiti sugli edifici destinati alla ricerca. Della quota per il trasferimento di tecnologia (4,48 miliardi in tutto) 1,6 miliardi sono da destinare alla creazione di leader nazionali su “tecnologie nazionali fondamentali”: Agritech, Fintech, Intelligenza artificiale, idrogeno, biofarmaci. Un altro miliardo e ottanta è previsto sui dottorati innovativi e verdi.

Il Cnr è escluso dal piano

All’interno del Piano si citano sette “campioni nazionali di R&S” e tra questi centri di eccellenza non si fa menzione del Consiglio nazionale delle ricerche, in queste settimane e fino a giugno governato da un Consiglio di amministrazione zoppo e senza presidente. Si temoo ridimensionamenti. L’assemblea del personale del Cnr, riunita lo scorso 15 marzo, ha rivendicato l’importanza del Cnr definendo la sua esclusione dal Piano nazionale di resilienza e ripresa “miliardi per l’università, uno spreco di risorse già disponibili”.

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