Medicina, gli Atenei a caccia di cadaveri

«Ci chiamano in continuazione. Ci chiedono: come facciamo a donare il nostro corpo? Sarà la crisi, e la necessità di risparmiare sulle spese del funerale, ma c’è un boom di richieste, richieste che però non possiamo accogliere». Giovanni Zummo, docente di Anatomia umana al Policlinico di Palermo, si aggira nella sala settoria dell’ospedale universitario dove otto manichini-umanoidi nuovi di zecca sono stesi al posto dei cadaveri. «Li abbiamo appena acquistati, sono di gomma, hanno organi interni gonfiabili, accesso per ogni tipo di prelievo, genitali intercambiabili, mandibola snodabile. Servono per le esercitazioni degli studenti di Medicina. Ai tempi dei miei studi qui c’erano corpi veri, adesso cerchiamo soluzioni alternative, mentre paradossalmente cresce l’offerta di donatori ai quali non sappiamo dare risposte».

 
Sandro è solo l’ultimo della serie. Sosteneva che “il nostro corpo non serve a nulla se non alla scienza”. E’ il fenomeno, in crescita, dei cadaveri donati alla scienza, analizzato in un articolo di Laura Anello su La Stampa.
“Non è facile fornire stime di questo fenomeno – scrive Anello -, ma in un convegno di pochi mesi fa Raffaele De Caro, docente di Anatomia del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, ha detto che «più di cinquanta persone nel 2013 hanno deciso di donare il corpo a fini didattici contro le 23 del 2012. In Italia si stima che lo facciano circa 150 persone l’anno.

Già. Potrà sembrare macabro ma la questione dei corpi su cui fare esercitazioni anatomiche è seria e fondata, tanto che l’associazione italiana dei Giovani medici – la Sigm – pone la questione tra le priorità da risolvere. «Purtroppo oggi bisogna affrontare i costi dei viaggi all’estero, Germania, Francia, Austria – spiega il presidente Walter Mazzucco – un problema avvertito sia dai ragazzi in formazione che dai professionisti di esperienza che hanno necessità di aggiornarsi».  Questione complessa. In Italia, che pure nel Rinascimento è stata la pioniera e la culla delle esercitazioni su cadaveri (nel 1594 venne ultimata a Padova la costruzione del primo teatro anatomico stabile, secondo il modello architettonico dell’anfiteatro) non c’è una norma che regolamenti con univocità e chiarezza la donazione del corpo per fini di ricerca e di studio. Sei proposte di legge non sono andate in porto.

 

Quel che resta in vigore, seppure bollato come «non accettabile» dal Comitato nazionale di Bioetica nel 2013, è il Regio decreto del 31 agosto 1933, che destina alle attività didattiche e di studio i cadaveri «il cui trasporto non sia fatto a spese dei congiunti compresi nel gruppo familiare fino al sesto grado o da confraternite o sodalizi che possano avere assunto impegno per trasporti funebri degli associati». Oggi l’unica strada accettabile in mancanza di una legge – come sottolinea il Comitato di bioetica – è l’espressione di una chiara volontà in vita con un atto sottoscritto e consegnato a una struttura universitaria.

 Certo è che il fenomeno delle donazioni è in crescita, ma più complesso individuarne le ragioni. È davvero un altro imprevedibile effetto della crisi che costringe a risparmiare anche sul proprio funerale (al termine degli interventi chirurgici, il corpo viene sepolto a spese dell’istituzione che lo ha ricevuto), o cominciano a diffondersi consapevolezza e sensibilità nuove come in altri Paesi europei? In Olanda, per esempio, due anni fa hanno persino dovuto bloccare il programma di donazione perché gli ospedali non sapevano più dove mettere i cadaveri.

Mentre medici e chirurghi, giovani o affermati, continuano a peregrinare per sperimentare nuove tecniche chirurgiche, valutare l’efficacia di protesi ortopediche, studiare malattie degenerative. L’unico centro privato in Italia si trova ad Arezzo, ed è la Nicola’s Foundation, nata da un’intuizione di Giuliano Cerulli, oggi primario di Chirurgia ortopedica al Policlinico Gemelli di Roma. Si chiama «cadaver lab», offre 70 postazioni anatomiche singole, ed è sede di master e di corsi di aggiornamento. E i cadaveri? «Li acquistiamo all’estero», spiegano dal Centro. Mercato fiorente, considerato che nel mondo muoiono tre persone al secondo.

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