Licenziare una professoressa per il suo orientamento sessuale è discriminatorio. A sancirlo è stata la sezione lavoro della Corte di cassazione che ha posto la parola “fine” alla vicenda che vedeva coinvolta una docente trentina: la professoressa non si vide rinnovare nel 2014 il contratto da parte di un Istituto religioso (cattolico) per il sospetto che avesse una compagna. Con una sentenza del 7 marzo 2017 la Corte di appello di Trento condannò l’Istituto, anche in ragione del carattere ritorsivo e diffamatorio delle sue condotte, a risarcire alla docente il danno da discriminazione per 30.000 euro a titolo di danno morale e per 13.329 euro a titolo di danno patrimoniale, nonché alle associazioni Cgil del Trentino e Associazione radicale Certi diritti la somma di 10.000 euro ciascuna a titolo di risarcimento.
Discriminazione per orientamento sessuale
L’Istituto aveva proposto ricorso in cassazione nel 2017 con cinque motivi, tutti oggi rigettati dalla Suprema Corte. In particolare la Sezione lavoro ha ritenuto che la libertà d’insegnamento di un ente religioso non costituisca carta bianca per discriminare apertamente le persone. Nell’ordinanza si legge: “Parte ricorrente invoca disposizioni, anche costituzionali, a fondamento della libertà di organizzazione dell’Istituto religioso, ma non spiega adeguatamente come questa libertà possa legittimare condotte apertamente discriminatorie come quelle ritenute ed accertate dai giudici trentini”.
La docente trentina, tramite il proprio legale, l’avvocato Alexander Schuster esprime sollievo per la chiusura definitiva di una vicenda assai dolorosa e che per volontà della scuola cattolica è giunta fino al giudizio in Cassazione. È però contenta che si sia raggiunta finalmente chiarezza quanto al fatto che anche nelle organizzazioni religiose le persone hanno il diritto di vivere liberamente la propria vita privata e di vedersi rispettate nella propria dignità. Per la docente la verità emersa è anche importante, perché – si apprende dall’avvocato Schuster – la risarcisce moralmente dell’erroneo giudizio cui pervenne l’allora presidente della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi, che indagò i fatti e, pur disponendo delle stesse informazioni dei giudici, concluse che non sussistevano illeciti e che nessun provvedimento doveva essere assunto nei confronti di una scuola convenzionata per il servizio pubblico. L’Istituto è stato anche condannato al pagamento delle spese legali per 9.870 euro, accessori inclusi.
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