Legge di Bilancio, che cos’è l’esercizio provvisorio e perchè fa paura al Governo

Tempi stretti per l’approvazione del testo che domani approderà in aula. Tra il 27 e 29 dicembre sarà la volta del Senato

Ci sono voluti sette giorni di lavori in commissione Bilancio per concludere l’esame degli emendamenti e indicare i relatori Paolo Trancassini, Roberto Pella e Silvana Comaroli. Solo nella tarda serata di ieri martedì 20 dicembre, intorno alle 20, sono arrivate tutte le proposte di modifica ed è stato dato il via alle operazioni di verifica dell’ammissibilità, di sub-emendazione e di deposito in ufficio di presidenza. L’approdo in Parlamento della bozza è così slittato di un giorno, a giovedì 22 dicembre, alle 8. A deciderlo è stata la capigruppo di Palazzo Montecitorio, alla luce dei tanti ritardi accumulati.

Il Governo che porrà la questione di fiducia in aula, che sarà votata il giorno dopo. Ma più passa il tempo e più c’è il rischio dell’esercizio provvisorio. L’arrivo in Senato dovrebbe avvenire idealmente tra il 27 e il 29 dicembre per evitare il temuto esercizio provvisorio. Come ribadito anche dalla premier Giorgia Meloni. Se il Parlamento non voterà il testo definitivo sia alla Camera che al Senato entro il 31 dicembre ci sarà il cosidetto esercizio provvisorio e il Paese non può permetterselo.

Cos’è l’esercizio provvisorio

L’esercizio provvisorio è previsto dall’articolo 81 della Costituzione, che stabilisce che lo Stato “assicura l’equilibrio” tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle “fasi avverse” e delle “fasi favorevoli” del ciclo economico. E regola il funzionamento della legge di bilancio.

Anzitutto dicendo che il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di superare le avversità del ciclo economico e solo “previa autorizzazione delle Camere”, con la maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, e solo al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri deve infatti provvedere ai mezzi per farvi fronte.

Ogni anno le Camere devono approvare la legge di bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. Ma se questo non avviene è concesso l’esercizio provvisorio del bilancio, per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. In parole povere, l’esercizio provvisorio avviene quando le Camere non approvano per tempo la bozza della legge di bilancio, e la Costituzione concede pochi mesi per arrivare a un accordo. Se ne parla in questi giorni perché il timore è quello che il governo Meloni, nonostante le rassicurazioni arrivate anche da parte dei partiti dell’opposizione, non riesca a ricevere il via libera da deputati e senatori a causa dei tanti ritardi accumulati e delle battaglie che si stanno portando avanti su alcuni temi.

Quando è stato usato l’esercizio provvisorio

Per i primi vent’anni della Repubblica, dal 1948 al 1968, i Governi hanno sempre agito in regime di esercizio provvisorio. Nel 1969 il governo Rumor è stato il primo a far approvare al Parlamento, nei tempi corretti, il bilancio dell’anno successivo. Successivamente solo il governo Moro nel 1976 e il governo Andreotti nel 1978 sono riusciti a ottenere il via libera in tempo. Poi il cambio di rotta con il governo Craxi nel 1983, che inaugura una nuova stagione in cui l’esercizio provvisorio diventa un’eccezione, come previsto dai padri costituenti, e non più la regola. Lo stesso Craxi si trova a fare i conti in ritardo nel 1986, poi è la volta del governo Goria nel 1988.

Sono 33 i governi hanno dovuto agire con le mani parzialmente legate. Questo perché l’esercizio provvisorio impone dei vincoli stringenti per la spesa pubblica. Anzitutto la divisione in dodicesimi. Ogni mese si può infatti utilizzare un dodicesimo delle poste previste nei capitoli del progetto di bilancio. Dal computo sono escluse le uscite obbligatorie, come quelle per gli stipendi del settore pubblico. La legge che autorizza e istituisce l’esercizio provvisorio, poi, può stabilire ulteriori vincoli. Che di fatto non permettono all’Esecutivo di compiere molti dei progetti inseriti in manovra.

I motivi di scontro tra i partiti

La legge di bilancio di quest’anno vale ben 35 miliardi di euro, di cui 21 destinati alle misure contro i rincari in bolletta, dovuti alla speculazione e all’inflazione schizzate a livelli particolarmente alti con la guerra in Ucraina, che dura ormai da dieci mesi. Se la lotta alle spese che gravano sulle tasche dei cittadini italiani e delle imprese ha messo tutti d’accordo, sono gli altri capitoli della manovra a far discutere i partiti.

A iniziare dalle misure sulle soglie per l’uso del contante e delle carte di credito, con la travagliata questione dell’innalzamento a 60 euro del limite per gli esercenti per non far pagare con il Pos, che sembra essere definitivamente stato eliminato dal documento. Per arrivare al taglio dei costi del lavoro, alle pensioni, ai mutui, con l’inserimento della flessibilità tra tasso variabile e tasso fisso. E proseguendo con le assunzioni nella Pubblica Amministrazione, i fondi per i disastri naturali, un ulteriore ridimensionamento a sette mesi del reddito di cittadinanza, destinato a sparire nel 2024.

Nella notte tra lunedì e martedì sarebbe stato discusso anche il futuro di 18app, il bonus cultura per i 18enni, che nella nuova riformulazione sarebbe diventato CartaG. E che verrebbe concesso, nella misura di 500 euro ai giovani meritevoli, con un voto di maturità pari a 100 centesimi, o provenienti da famiglie con un Isee inferiore ai 35 mila euro. Si sarebbe anche accarezzata l’ipotesi di concederlo in entrambi i casi, e quindi raddoppiarne il valore, ma per una conferma su questo punto bisognerà aspettare la verifica delle coperture.

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