L’alternanza scuola-università-lavoro

Antonio Cocozza*

Nel nuovo quadro istituzionale, l’alternanza scuola-università-lavoro per gli attori economici, sociali e istituzionali italiani, ora impegnati nel rilancio di una nuova stagione della concertazione, rappresenta al contempo una sfida e una opportunità da cogliere assolutamente, poiché l’Italia sembra essere uno di quei pochi Paesi Ocse a non aver ancora assunto una politica organica tesa a perseguire questo obiettivo strategico.

Infatti, in questa prospettiva, il costante processo di innovazione del sistema economico e sociale richiede alla scuola e all’università di superare il tradizionale assetto burocratico e autoreferenziale e s’impone un’evoluzione fondamentale che si muove in una prospettiva di bridging  e networking con le istituzioni territoriali, le imprese e il mondo del lavoro.

Questa prospettiva evolutiva per l’Italia acquista un maggiore peso e diventa davvero un obiettivo strategico da perseguire a tutti i costi, poiché nell’attuale situazione di crisi economica le dinamiche del mercato del lavoro sono contraddistinte da un quadro a tinte fosche. Un quadro dove la vera emergenza sociale è rappresentata da tre diversi fenomeni che rappresentano, in modo evidente, il “malessere” del nostro sistema educativo ed economico:

a)      l’elevato tasso di disoccupazione giovanile ormai al 30,1%, e quello di inattività alla soglia critica del 38% (ancora peggiore il dato del Sud);

b)     la preoccupante dispersione scolastica che interessa il 19.7% degli studenti, pari a 120.000 giovani che ogni anno abbandonano la scuola, mentre il dato medio europeo è al 15% e la Strategia comunitaria “Europa 2020” vorrebbe ricondurlo al 10%;

c)      l’alto numero di giovani che non studiano e non lavorano, che arriva ad oltre i 2,2 milioni e rappresenta la percentuale più elevata a livello europeo.

Nell’ambito di tali criticità, la dispersione scolastica costituisce un fenomeno economico e sociale complesso, non solo una “questione educativa”, con caratteristiche molto differenziate per scuola (tasso più elevato negli Istituti professionali e tecnici), ceti sociali (coinvolge famiglie meno abbienti) e per zone geografiche (interessa Sud e Nord Est).

Di fronte a questa situazione potenzialmente esplosiva, è necessario che il Governo Monti, il Ministro Profumo e gli Assessori regionali, per le loro rispettive competenze, intraprendano un percorso che permetta di sperimentare politiche integrate “attivanti”, che puntino a coinvolgere responsabilmente le istituzioni educative, il sistema economico e sociale, gli stessi giovani e le famiglie, al fine di perseguire i seguenti obiettivi:

a)      un maggiore dialogo tra scuole e università, mediante la valorizzazione del principio dell’autonomia, e un migliore raccordo, in funzione dell’elaborazione dell’offerta formativa, con le istituzioni regionali e territoriali, il mondo delle attività produttive, delle professioni e del terzo settore;

b)      una politica di orientamento allo studio e al lavoro che permetta un coinvolgimento consapevole e responsabile degli studenti e delle famiglie;

c)      l’obbligo di praticare stage e tirocini lavorativi nell’ambito di tutti i percorsi scolastici e universitari, sviluppo di un ruolo più attivo delle università nell’attività di matching tra domanda e offerta di lavoro;

d)      sviluppo delle potenzialità del nuovo apprendistato, che disciplina il contratto per la qualifica professionale, quello professionalizzante e quello per l’alta formazione e la ricerca;

e)      una maggiore diffusione delle esperienze di trasferimento tecnologico tra università e imprese e di progetti di start up ed estensione di progetti formativi tendenti al rafforzamento delle competenze di auto imprenditorialità e il sostegno alla promozione di imprese innovative create da giovani laureati.

In questa nuova prospettiva, il ruolo una politica organica a sostegno di un progetto educativo e formativo basato sull’alternanza scuola-università-lavoro diventa strategico, poiché permette al giovane di conoscere il mondo del lavoro e all’impresa di poter orientare la programmazione dell’offerta formativa del sistema scolastico e di quello universitario, in modo tale da renderlo più in linea con la domanda di lavoro.

In definitiva, in questa prospettiva il sistema dell’education potrebbe contribuire alla formazione delle competenze necessarie e alla diffusione dell’innovazione e del capitale sociale necessari e partecipare così attivamente alla vita della comunità locale, allo scopo di perseguire più efficacemente la sua alta funzione sociale e civile a favore del rilancio della crescita economica, sociale e civile.

*Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università degli Studi Roma Tre
Coordinatore dell’Osservatorio sulla scuola dell’autonomia – Luiss Guido Carli

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