Falsa identità in chat, per la Cassazione è reato

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Attribuirsi una falsa identità, anche in chat, è reato. Parola della Cassazione che con una sentenza ha confermato la condanna  per  una donna che in aveva divulgato il numero di cellulare della  sua ex datrice di lavoro con la quale aveva in orso una causa civile, dicendo che la stessa era disposta a incontri di natura sessuale a pagamento. La vittima, ignara di tutto, si era trovata all’improvviso a ricevere telefonate e sms di persone interessate a tali incontri, mms porno e insulti di varia natura.

“Non può non rilevarsi al riguardo che il reato di sostituzione di persona ricorre non solo quando si sostituisce illegittimamente la propria all’altrui persona, ma anche quando si attribuisce ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, dovendosi intendere per ‘nome’ non solo il nome di battesimo ma anche tutti i contrassegni di identità”.

In tali contrassegni, spiega la Cassazione, “vanno ricompresi quelli, come i cosiddetti nicknames (soprannomi) utilizzati nelle comunicazioni via internet che attribuiscono una identità sicuramente virtuale, in quanto destinata a valere nello spazio telematico del web, la quale tuttavia non per questo è priva di una dimensione concreta, non essendo revocabile in dubbio che proprio attraverso di essi possono avvenire comunicazioni in rete idonee a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui, cioè di coloro ai quali il ‘nickname’ è attribuito”.

Il nickname, nel caso in cui “non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità ad una persona fisica”, assume infatti “lo stesso valore – conclude la Cassazione – dello pseudonimo ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione, a sè o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all’articolo 494 cp.”, ovvero il reato di sostituzione di persona.

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