I giovani sono spesso i grandi esclusi dalle campagne elettorali. Prima di tutto perché sono pochi in un Paese anziano come l’Italia, non hanno solitamente potere economico, come invece è avvenuvo per la generazione dei loro genitori, quella degli anni ottanta-novanta, e sopratutto non sono organizzati e non fanno blocco comune come facevano, invece, i loro nonni. Eppure sono quelli che più di tutti stanno pagando e pagheranno le scelte dei governi di questa legislatura arrivata al capolinea. Sono la generazione Z e quelle successive che rischiano di pagare salato il conto che è stato già presentato a quella dei loro “fratelli maggiori”, i Millennials ormai ultratrentenni.
Nei giorni scorsi ha fatto molto “rumore” nel web e sui social l’hashtag #20e30, lanciato dalla pagina satirica Aqtr, per dare un volto all’insofferenza delle giovani generazioni dopo l’ennesimo governo a cui è stata staccata la spina. I moderatori della pagina hanno chiesto di scrivere su un foglio cosa volessero i ragazzi e le ragazze d’Italia a meno di due mesi dal voto del 25 settembre. Cosa vogliono i giovani? Ma soprattutto cosa serve loro per diminuire questa guerra generazionale che sta covando sempre più sotto le braci di continui fallimenti della politica? Lo abbiamo alla presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani.
Se i partiti vi dicessero “diteci cosa vi serve per migliorare la situazione dei giovani in Italia e noi lo faremo”, quali obiettivi cerchereste di portare a casa?
Quello che chiediamo da tempo alle Istituzioni: sostenere, concretamente, l’emancipazione giovanile. Dalle misure per l’infanzia, al processo educativo e di acquisizione delle nuove competenze, all’accesso al mercato del lavoro, in particolare per il raggiungimento della riduzione del numero di NEET e lo sviluppo di una strategia per l’occupazione giovanile fino alla questione abitativa, attualmente uno degli ostacoli maggiori per il raggiungimento della piena autonomia e fattore di forte divario generazionale.
Come Cng, infatti, chiediamo da tempo di affrontare in maniera organica e strutturale la questione generazionale, per avere una visione di insieme che permetta di adottare strategie di lungo periodo. La crisi attuale ci insegna che le scelte politiche devono tornare ad essere lungimiranti, finalizzate a progettare il futuro piuttosto che a subirne l’impatto. È la ragione per cui abbiamo bisogno di interventi mirati a ridurre la disuguaglianza intergenerazionale, a garantire l’accesso alle opportunità da parte dei giovani e delle giovani con meno di 35 anni e un’istruzione e formazione adeguata ed equa che garantisca il funzionamento dell’ascensore sociale e la mobilità tra generazioni, che risulta ancora paralizzata soprattutto nel Sud Italia.
Qual è la vostra idea in merito alla proposta del Pd su una dote di 10mila euro per i diciottenni?
Come dicevo, il raggiungimento della piena autonomia è un fattore di forte divario generazionale. L’instabilità e la precarietà lavorativa comportano la mancanza di autonomia economica e abitativa, oltre all’impossibilità di creare serenamente una propria famiglia, rimandando il passaggio alla genitorialità, a condizioni più solide e tardando, inoltre, l’uscita dai nuclei familiari di provenienza.
A tal proposito, sappiamo bene che solo il 30% dei giovani riesce ad ottenere un prestito senza l’intervento di un garante, che quasi sempre è un genitore. Difatti, ad oggi la questione abitativa è uno degli ostacoli maggiori per il raggiungimento della piena autonomia delle giovani generazioni e un fattore di forte divario generazionale. In questo senso, il Fondo Acquisto Prima Casa rappresenta sicuramente uno strumento importante per invertire questa tendenza, anche se la flessibilità contrattuale in ambito lavorativo, unitamente alla riduzione del reddito e alla precarizzazione dei diritti per le fasce d’età più giovani, continua a creare sempre più difficoltà per le giovani generazioni ad accedere al credito per la prima casa.
Per questo apprezzo la proposta di introdurre per la generazione più in crisi un aiuto concreto per gli studi, per il lavoro, la casa. Un investimento sul diritto al futuro di 280.000 ragazze e ragazzi ogni anno sarebbe un passo concreto e davvero importante nella direzione di una sempre maggiore equità intergenerazionale. Le nuove generazioni, infatti, devono necessariamente disporre di tutti gli strumenti adeguati a fronteggiare l’importante debito che il nostro Paese dovrà ripagare nei prossimi anni anche in una prospettiva di una maggiore solidarietà sociale.
Sul lavoro i partiti puntano soprattutto sulla defiscalizzazione del primo anno di contratto, tale proposta non ha mai risolto il problema della precarietà delle giovani generazioni, è davvero l’unica soluzione?
Sicuramente gli sgravi fiscali sono una delle tante misure che possono essere adottate per favorire e agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Mercato del lavoro che, però, sta cambiando e richiede nuove e diverse competenze che vanno, talvolta, oltre quelle acquisiamo a scuola o all’Università.
Per questo occorre investire in conoscenza e in formazione, incrementando la nostra capacità di affrontare le nuove sfide che la società ci pone dinanzi e, allo stesso tempo, orientare i i vari livelli di istruzione verso i nuovi sistemi di sviluppo e di lavoro. Interventi legislativi volti al riconoscimento delle competenze non formali, alla riforma degli ITS e dei tirocini sono passi importanti che rispondono ad esigenze attuali dei nuovi modelli economici e sociali e al riconoscimento di diritti imprescindibili per le giovani generazioni. Servono, tuttavia, misure più organiche e strutturali con la stessa strategia comune e di lungo periodo per incidere, concretamente, sul miglioramento delle opportunità lavorative oltreché di permanenza nel mercato del lavoro.
Quali sono secondo voi gli investimenti che si dovrebbero fare per i giovani ma che credete le forze politiche in campo difficilmente faranno?
In questi anni e mesi difficili per le giovani generazioni, abbiamo condotto diverse analisi per conoscere dettagliatamente la condizione degli under-35 in Italia contribuendo ad introdurre nel nostro Paese uno studio sulla valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sulla vita dei giovani, soprattutto rispetto agli interventi previsti dal PNRR. Sulla base di questi studi, abbiamo avanzato proposte concrete, e spesso ambiziose.
In ambito formativo è necessario innanzitutto continuare a promuovere un welfare studentesco per il sistema scolastico attraverso un maggiore coordinamento a livello nazionale degli strumenti riguardanti il diritto allo studio. Inoltre, è fondamentale favorire lo sviluppo di percorsi efficienti di alternanza scuola-lavoro basati su competenze che corrispondono ai comparti d’impiego locale sostenuti dalle Strategie di Specializzazione Intelligente. È, altresì, prioritaria la necessità di una riorganizzazione dell’offerta formativa, anche mediante l’istituzione di semestri professionalizzanti o tramite il coinvolgimento sinergico di enti pubblici e privati e un riconoscimento legislativo delle competenze acquisite attraverso l’educazione non formale e informale.
Le vulnerabilità dei giovani, che si frappongono al raggiungimento della loro indipendenza, derivano infatti da una serie di fattori complessi che si sommano nel tempo. Fattori oltre l’età, che influenzano le loro fragilità e i loro bisogni, come la regione in cui vivono e il loro genere, così come le condizioni di salute, il background socio- economico. I giovani affrontano ogni giorno il rischio di una maggiore disoccupazione, e – quando trovano lavoro – di posti di scarsa qualità. Questo si traduce nell’esclusione sociale di un’intera generazione. Questo sentimento prende una forma nitida se si analizzano, ad esempio, i dati sulla fiducia dei giovani nel governo e nelle istituzioni pubbliche. In coda alla classifica OCSE, dopo il Cile e la Polonia c’è l’Italia, in quanto meno di tre su dieci giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni hanno fiducia nelle istituzioni. Per questo, se parliamo di inserimento nel mondo del lavoro, non possiamo inoltre non pretendere di creare un sistema di servizi per l’impiego funzionali, innalzando i livelli di competenze degli operatori e assumendo figure specialistiche, in particolare orientatori, psicologi, giuristi e consulenti per il lavoro, ancor più se pensiamo alla necessità di informare i giovani sui loro diritti e guidarli verso il riconoscimento delle competenze personali acquisite.
Inoltre, è cruciale la necessità di affrontare il problema del calo del reddito dei giovani attraverso uno strumento di medio-lungo termine, volto a fornire un sostegno economico che permetta di investire sulla propria realizzazione personale, per acquisire beni, servizi o sgravi fiscali sull’apprendimento, per sviluppare la ricerca nelle aziende, per finanziare la formazione continua, per l’attività imprenditoriale, e ancora, per l’alloggio o per i servizi di supporto alle giovani famiglie. Uno strumento come un Reddito di opportunità che conduca i giovani verso una vita autonoma ed economicamente indipendente.
In ultimo, sarà assolutamente necessario potenziare le forme di sostegno per l’autoimpiego e l’imprenditoria giovanile, favorendo la capacità di sviluppare iniziative e imprese attraverso l’implementazione di un Fondo di garanzia per i più giovani, finalizzato all’avvio di attività di impresa per giovani imprenditori Under 35, con una particolare attenzione all’imprenditoria femminile.
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