Da l’Orientale di Napoli, uno storytelling su storie di marginalità

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BIOETICA E LETTERATURA’. “Come Camaleonti davanti allo specchio. La vita negli spazi fuori luogo nasce nell’ambito del progetto “Alterità. La vita e i diritti nello spazio e nel tempo dell’Altrove”, promosso dalla Cattedra di Bioetica Interculturale de l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

Prossima presentazione all’Istituto per gli Studi filosofici di Napoli il 13 giugno, alle 18.00. 

Sedici tra ricercatori, docenti, giornalisti, operatori realizzano un viaggio negli spazi della marginalità, incontrando i volti di quanti sono costretti a vivere nella mortificazione del diritto e della dignità. “Come Camaleonti davanti allo specchio. La vita negli spazi fuori luogo”, è il lavoro collettaneo pubblicato da  Ad est dell’Equatore e curato da  Antonio Esposito, che raccoglie i racconti di Luigia Melillo, Giovanni Carbone, Elena Cennini, Fulvio Battista, Lesko Sobol Oksana, Mario Leombruno, Luca Romano, Tonia Limatola, Claudia Procentese, CiroMarino, Immacolata Carpiniello, Stella Cervasio, Dario Stefano Dell’Aquila, Paola Perretta, Fabrizio Geremicca.

Il libro nasce nell’ambito del progetto “Alterità. La vita e i diritti nello spazio e nel tempo dell’Altrove”, promosso dalla Cattedra di Bioetica Interculturale de l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Il risultato di questo lavoro è una cartografia di eterotopie, laddove l’eccedenza diventa categoria quotidiana che coinvolge un numero sempre maggiori di viventi. Carceri, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, manicomi, periferie degradate, alberghi trasformati in c.a.r.a., centri per immigrati, campi rom fabbriche, zoo, ma anche il Vesuvio e il mare con interi territori devastati da abusi edilizi e sversamenti di rifiuti, sono i luoghi che i diversi narratori incontrano nelle loro quotidianità e restituiscono in racconti vibranti e coinvolgenti privi di concessioni al buonismo e al pietismo.

Questo storytelling è piuttosto una forte e cruda denuncia etica, politica e civile, costruita con diversi registri stilistici e narrativi. Viene disegnato un quadro a tinte forti della nostra realtà che evade la specificità dei luoghi narrati per farsi cifra della tenuta stessa della nostra democrazia e dei suoi valori fondanti. Eppure, oltre, la denuncia, il libro riesce a tracciare anche possibilità diverse, tracce che possono essere ancora seguite per costruire nuove utopie della realtà, un nuovo viaggio verso “città invisibili”.

Le stesse che, nonostante il dolore e l’orrore, sono suonate con una foglia da Federico, a cui, con un disegno di  Sergio Cennini, viene dedicata la copertina del libro. Federico, nato a Budagne, di origine slave, lavora da piccolo nelle miniere del Belgio.

Vive poi l’orrore dei campi di concentramento di Dachau e per oltre trent’anni la violenza dell’istituzione manicomiale di Aversa. Trasferito dopo la legge 180 in un’altra istituzione neomanicomiale, Federico ritroverà dignità ed un suo luogo sono negli ultimi anni della sua vita all’interno di un bene confiscato alla camorra dove nasce una cooperativa che, sui territori di Gomorra, con gli “ultimi”, costruisce “Le terre di Don Peppe Diana”. Come camaleonti davanti allo specchio, è il viaggio iniziato al suono di quella foglia, i suoi autori si fanno testimoni di quanti, umani e animali, sono deprivati di voce e diventano invisibili, costretti dietro le sbarre di prigioni, gabbie e cemento. La memoria si fa vita, l’indignazione diventa strumento, la parola assume valore. Per chi sceglie da che parte stare, per chi decide che comunque non ci si può arrendere alla banalità del “non può essere altrimenti”, per chi sceglie comunque di lottare.

 

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