Covid, l’allarme di uno studio italiano: “Contagio più veloce nelle scuole”

Gli esperti guidati dall’epidemiologo Stefano Merler: “La trasmissione incontrollata di Sars-CoV-2 tra gli studenti può bloccare le attività didattiche”

Dopo l’eliminazione di quasi tutte le restrizioni adottate nei contesti scolastici nei confronti dell’emergenza sanitaria le scuole tornano al centro della pandemia. Le conclusioni sul rischio di trasmissione del virus Covid pubblicate sulla rivista Influenza and other respiratory virus da un gruppo di ricercatori italiani sono che “la trasmissione incontrollata di Sars-CoV-2 tra i banchi potrebbe determinare l’interruzione delle normali attività didattiche e aumentare il carico delle operazioni di tracciamento”.

Contagi in aumento

Il lavoro, coordinato dall’epidemiologo Stefano Merler, direttore del Centro per le emergenze sanitarie della Fondazione Bruno Kessler di Trento, sembra chiarire una volta per tutte quelle che sono le maggiori probabilità legate alla trasmissione nei contesti scolastici. Comunità chiuse e in cui per almeno 5-6 ore al giorno convivono persone ancora oggi perlopiù non vaccinate. Un rischio per certi versi inevitabile. Ma evidentemente sottostimato, alla luce dell’allargamento delle maglie deciso a partire dall’anno in corso.

Dall’analisi della catena di trasmissione osservata (chi ha infettato chi), gli autori hanno stimato quale fosse il contesto in cui i contagi fossero avvenuti più di frequente. Le indagini epidemiologiche hanno svelato che, in 1 caso su 2, Sars-CoV-2 è risultato diffondersi soprattutto negli ambienti domestici. A seguire, a scuola (21%) e in altri contesti di comunità (29%). In linea generale, un quinto dei positivi (20%) è risultato responsabile di quasi l’80% dei casi di infezione. Un dato che però è risultato ben più elevato tra gli studenti: i più frequenti amplificatori dell’infezione e punto di partenza di catene di contagi più difficili da interrompere. Il 46,2% dei bambini e degli adolescenti positivi a Sars-CoV-2 ha generato successivi episodi di trasmissione del virus: a fronte di un dato inferiore (25%) rilevato nella popolazione generale.

Inoltre, il numero medio di infezioni generate da ogni studente positivo per al coronavirus è stato di 1,03: superiore di quasi tre volte a quello rilevabile nel resto della popolazione (0,35). Nei casi in cui il caso indice era un bambino o un adolescente – l’epidemia ha infatti coinvolto il nido comunale, una scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado – i cluster sono risultati infine composti da un numero più elevato di persone infette. 

L’alta trasmissione nelle scuole

Le cause della maggior trasmissibilità osservata in ambito scolastico vanno ricercate nell’alto numero di contatti sociali dei più giovani e nella bassa probabilità di sviluppare sintomi clinici nei bambini e nei ragazzi. Un aspetto, quest’ultimo, che “tende anche a diminuire la potenziale efficacia della strategia di chiusura reattiva delle classi, nel momento in cui è ritardata poiché molti casi asintomatici non vengono intercettati in tempo”, aggiunge l’esperto.  Che sottolinea: “L’ondata di questi giorni è determinata in buona parte dalla riapertura delle scuole, come testimoniato dal rilevante aumento di incidenza osservato tra coloro che le frequentano. La grande ondata estiva di Omicron 5 si era spenta spontaneamente per mancanza di contatti da infettare. Il ritorno tra i banchi, con tutti i contatti sociali tra bambini e ragazzi ripristinati dopo le vacanze, ha probabilmente ridato spazio al virus”.

C’è il rischio di una nuova ondata?

Complice l’avanzare dell’autunno, tra gli esperti sono in molti a pensare che nelle prossime settimane si assisterà a una nuova ondata di contagi. Una preoccupazione rilanciata anche dalla rivista Nature, secondo cui una delle sottovarianti di Omicron è destinata a diffondersi maggiormente rispetto alle altre. E a dare vita a quella che gli scienziati chiamano già “twindemic”: ovvero una crescita dei contagi in parallelo, tra influenza e Sars-CoV-2.

“Anche questa ondata comincerà a calare quando non ci saranno più sufficienti contatti utili al virus per trasmettersi – conclude Merler -. L’aspetto estremamente positivo è che nella popolazione c’è un livello molto alto di protezione contro la malattia severa, determinato dalla percentuale di persone vaccinate o esposte precedentemente al virus. Una cosa che possiamo sicuramente fare, utile sia oggi sia nel prossimo futuro, è quella di aumentare la protezione nella popolazione anche contro l’infezione, somministrando le quarte dosi. Così si toglierà spazio al virus e si proteggerà anche la funzione educativa delle scuole”.

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