L’accordo “storico” della Cop15, Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, riunitasi a Montreal in Canada, promette di segnare un cambiamento epocale nella difesa della biodiversità, anche se non sono mancate le polemiche. La bozza del testo definitivo è stato approvata nelle prime ore della giornata conclusiva, dopo essere stata rilasciata dalla Cina, Paese che detiene la presidenza di questa edizione della Conferenza. Ribattezzato “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework”, l’accordo non ha visto l’ok di Congo e Uganda, proprio in merito all’ambiguità sui finanziamenti per supportare i paesi in difficoltà
Cop15
“Non c’è mai stato un obiettivo di conservazione a livello globale di questa portata”, ha dichiarato ai giornalisti Brian O’Donnell, direttore del gruppo di conservazione Campaign for Nature. Pur non avendo soddisfatto le aspettative di tutti i 193 Paesi partecipanti, la Cop15 è riuscita a mettere a segno uno dei venti obiettivi principali prefissati alla sua apertura. Nello specifico l’attuazione del cosiddetto piano “30 by 30”, ovvero l’impegno a proteggere il 30% del Pianeta, a ripristinare il 30% delle aree marine e terrestri degradate e a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, a oggi custodi dell’80% della biodiversità residua sulla Terra. Il tutto entro il 2030. “Stasera stiamo facendo la storia alla Cop15” ha twittato il Commissario europeo per l’Ambiente Virginijus Sinkevicius.
DEAL
— Virginijus Sinkevičius (@VSinkevicius) December 19, 2022
Tonight, we make history at #COP15.
The Kunming-Montreal deal for Nature & people all over the world.
30% degraded ecosystems on land & sea to be restored by 2030
30% terrestrial & marine areas conserved & managed by 2030 pic.twitter.com/CGVx9ilK59
Nonostante la somiglianza nei nomi, la Cop15 è un appuntamento distinto dalla recente Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi dal 6 al 18 novembre 2022 a Sharm El-Sheikh, anche nelle tematiche. Mentre quest’ultima si è concentrata sulla lotta ai cambiamenti climatici, la Cop15 ha avuto come focus la salute e la tutela di tutte le specie viventi e del Pianeta.
In realtà la prima parte della Conferenza si è tenuta a Kunming, in Cina, dall’11 al 15 ottobre 2021. In quest’occasione le parti interessate hanno riaffermato il loro impegno a raggiungere la visione 2050 di “vivere in armonia con la natura, adottando la Dichiarazione di Kunming”. L’appuntamento di Montreal ha costituito quindi la seconda fase della Conferenza, quella conclusiva e destinata all’adozione di un nuovo quadro globale sulla biodiversità. Il “Post-2020 Global Biodiversity Framework” è il primo quadro sulla biodiversità adottato a dodici anni di distanza dagli Aichi Biodiversity Targets di Nagoya, firmati nella città giapponese che nel 2010 ha ospitato la decima edizione della Conferenza.
Nodo finanziamenti
La parte più complessa è stata trovare una quadra su come e con quali risorse queste misure dovessero essere finanziate, tanto che mercoledì 14 dicembre, nel pieno della discussione, i delegati di 70 Paesi africani, sudamericani e asiatici hanno abbandonato i lavori in segno di disaccordo per poi rientrare poche ore dopo. Il Brasile, che ha parlato a nome dei Paesi in via di sviluppo, ha sottolineato l’importanza di istituire un nuovo meccanismo di finanziamento dedicato alla biodiversità in cui i Paesi sviluppati dovrebbero fornire 100 miliardi di dollari all’anno in sovvenzioni finanziarie alle economie emergenti fino al 2030.
Alla fine i Paesi partecipanti si sono accordati nel garantire risorse finanziarie “equamente accessibili – si legge nel testo della bozza finale – a tutte le parti, in particolare ai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi meno sviluppati e ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo, nonché ai Paesi con economie in transizione, colmando progressivamente il gap finanziario della biodiversità di 700 miliardi di dollari l’anno”. A tanto ammonta la stima delle risorse necessarie per tutelare la biodiversità, un numero che rispetto ai 150 miliardi di dollari investiti globalmente negli ultimi a questo scopo appare una sfida non facile da vincere.
Cosa dice l’IPCC
Attualmente solo il 17% delle terre e il 10% delle aree marine sono protette. Un dato tanto più allarmante se si guarda alle previsioni degli scienziati: secondo quanto affermato dall’Ipbes – Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services – e confermato nel sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc – Intergovernmental Panel on Climate Change – la Terra sta rischiando la sesta estinzione di massa, dopo quella dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Più nel concreto, entro i prossimi decenni potrebbe scomparire dalla faccia del Pianeta un milione di specie, tra piante, mammiferi, come i lemuri o la tigre del Bengala, ma anche squali, salmoni e altri animali acquatici. Ma se in passato stravolgimenti dipesero da fenomeni naturali, questa volta la causa di questo continuo impoverimento della biodiversità sono le azioni degli uomini.
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