Cop 27, cos’è il Just Energy Transition Plan presentato a Sharm el-Sheikh

Il piano da 8,5 miliardi servirà all’Europa a garantirsi materie prime dall’Africa. Ma c’è già che lo chiama “saccheggio”

La Cop 27 egiziana di Sharm el-Sheikh non sta riscuotendo grandi successi fino ad ora. Iniziata il 6 novembre, si potrarrà fino al 18 e vedrà la partecipazione di duecento delegati provenienti da altrettanti Paesi. Due gli obiettivi principali: quello di limitare riscaldamento globale a 1,5°C (impresa che ad oggi nessuno può garantire e, anno dopo anno, è sempre meno a portata di mano) e rispondere ai bisogni delle comunità che già oggi subiscono impatti molto gravi, sia in termini di finanziamenti per interventi di mitigazione e di adattamento, sia con una struttura finanziaria ad hoc per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici. Sul secondo obiettivo, in questo particolare momento storico, si ripongono le maggiori speranze.

In apertura della Conferenza Onu, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il rapporto ‘Stato del clima globale nel 2022spiegando che gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi fra quelli registrati finora, e che l’aumento della temperatura media, che nel 2022 è di circa 1,15 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali, è a sua volta dovuto a quello delle concentrazioni dei principali gas serra nell’atmosfera (anidride carbonica, metano, diossido di azoto) a livelli record nel 2021 e in continua crescita. Della loro riduzione, però, alla Cop 27 che registra il ritorno del Brasile dopo l’era Bolsonaro, si dovrà discutere in assenza del presidente della Russia, Vladimir Putin, del presidente cinese Xi Jinping e anche del primo ministro dell’India Narendra Modi, i Paesi con i target meno ambiziosi per le emissioni nette zero, fissate al 2060 per i primi due e al 2070 per l’India e tra i maggiori emettitori. Sul fronte della CO2 la Cina è attualmente prima, responsabile di quasi il 33% delle emissioni, mentre India e Russia sono quarta e quinta della lista.

Just Energy Transition Plan

Nella giornata di ieri è stato lanciato il Just Energy Transition Plan: un piano 8,5 miliardi di dollari per passare dal carbone all’energia verde sostenuto dal Sudafrica, insieme a Regno Unito, Usa, Francia, Germania e Unione Europea e considerato un progetto valido anche per ridurre le emissioni di gas serra in altre nazioni in via di sviluppo dipendenti dal carbone. “Ogni kilowattora di elettricità che produciamo da solare, eolico, idrogeno verde o altre energie rinnovabili non fa bene solo al clima, ma ci dà indipendenza e sicurezza dell’approvvigionamento” ha detto von der Leyen, aggiungendo che “il Sud del mondo ha risorse in abbondanza. Ecco perché l’Unione Europea sta firmando nuove partnership per l’idrogeno con Egitto, Namibia e Kazakistan. Ecco perché stanno sostenendo partner come Vietnam e Sud Africa per decarbonizzare le loro economie”.

Alla Cop 27, infatti, Ursula von der Leyen ha firmato con Kazakistan e Namibia due memorandum finalizzati a rendere più sicure e sostenibili le filiere di approvvigionamento, verso l’Europa, di materie prime, batterie e idrogeno verde. Insomma, il Sud del mondo ha bisogno di finanziamenti e il Nord ha bisogno di diversificare le fonti per smarcarsi dal gas russo. Difficile dire chi beneficerà in modo maggiore di queste partnership, dato che ad oggi, per esempio, non esiste un’industria dell’idrogeno verde. Molto dipende dalla capacità o meno di evitare diverse insidie, a iniziare dagli impatti sulle comunità locali. A riguardo potrebbero fare da monito le parole del presidente dello Sri Lanka, Ranil Wickremesinghe, che ricorda come la pratica del colonialismo “ha estratto risorse dall’Asia e dall’Africa per alimentare l’industrializzazione nelle nazioni ricche. Siamo diventati poveri a causa di questo saccheggio”.

I finanziamenti

L’altro tema cruciale è quello dei finanziamenti. Anche sull’obiettivo globale di adattamento la presidente della Commissione Ue rivendica la giusta quota fornita dall’Europa: “Per il secondo anno consecutivo abbiamo superato i 23 miliardi di euro, nonostante la pandemia di Covid e nonostante la guerra in Ucraina e una grossa parte dei nostri finanziamenti per il clima va già all’adattamento”. E invita gli altri Paesi del “Nord del mondo” ad aumentare i loro finanziamenti per il clima ai Paesi più poveri.

Va decisamente oltre l’invito Gaston Browne, il primo ministro di Antigua e Barbuda che, parlando a nome dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari, i cui paesi sono destinati a sprofondare sotto l’innalzamento degli oceani, si rivolge a quelli ricchi che fino ad oggi non hanno fornito finanziamenti adeguati per il clima: “Lotteremo incessantemente per la giustizia climatica” anche nei tribunali internazionali. Secondo un rapporto commissionato dalla presidenza della Cop, i Paesi del Sud del mondo avranno bisogno di più di 2mila miliardi di dollari all’anno entro il 2030 per finanziare la loro azione per il clima, quasi la metà dei quali proverrà da investitori esterni.

Questi investimenti nei mercati emergenti e nei paesi in via di sviluppo – esclusa la Cina – dovrebbero essere utilizzati per “ridurre le emissioni, costruire resilienza, affrontare le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici e ripristinare la terra e la natura”. A proposito del fondo (che non c’è e non arriverà certo a breve) sulle perdite e i danni, spicca la proposta dalla premier dell’isla caraibica Barbados, Mia Mottley: “Un coinvolgimento delle compagnie petrolifere nella prossima Cop. Come possono società da 200 miliardi di utili negli ultimi tre mesi non aspettarsi di dover contribuire almeno con dieci centesimi per ogni dollaro di profitto nel Fondo per le perdite e i danni legati al clima?”.

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