Università di Padova, addio al Prof Silvio Lanaro

morte silvio Lanaro

Se si pensa alla scuola storica padovana, si pensa quasi immediatamente a Silvio Lanaro. Perché nell’Università di Padova Lanaro ha studiato, perché qui ha insegnato, prima Storia del Risorgimento, poi Storia Contemporanea, perché qui ha fatto nascere una serie di studiosi che hanno seguito la sua lezione ed il suo metodo. Allievo di Federico Seneca ha saputo molto presto ricavarsi un’esperienza di studio autonomo, che lo ha portato a legare intimamente Ottocento e Novecento italiani, come se la frattura del secolo avesse contato molto poco. Il suo nascere nel Veneto periferico ha avuto un significato profondo nel lavoro di storico, come ricordano i suoi allievi in “Pensare la nazione”, il libro a lui dedicato pubblicato pochi mesi fa da Donzelli, per i suoi settant’anni.

Non a caso il suo primo libro, agli inizi degli anni Settanta, era dedicato ad Alessandro Rossi ed alle peculiarità di un modello industriale fortemente radicato nella cultura veneta. Ma già in quel primo libro, come racconta il Mattino di Padova, Lanaro andava oltre la lettura tradizionale, convinto, come sempre è stato, che bisognasse superare i fatti, per cercare nelle visioni culturali le radici profonde delle trasformazioni storiche.

Ma in quel primo libro era contenuto anche un altro elemento dominante nel pensiero di Lanaro: una sorta di centralità del Veneto nella Storia d’Italia, che sembrava allora una vera e propria eresia. Ed invece è proprio partendo dagli studi sulla realtà veneta tra Ottocento e Novecento che Lanaro è andato convincendosi che la storia dell’Italia unita andasse ripensata radicalmente, a partire dai limiti di un liberalismo mai pienamente adottato. In questo senso un altro libro decisivo, per quanto ancora preparatorio, è “Società e ideologie nel Veneto rurale”, uscito nel 1976, quando Lanaro cominciava ad insegnare “Storia del Risorgimento”. Ma il suo Risorgimento era fatto di analisi delle ideologie soprattutto, e delle ideologie locali, quelle di Lampertico, per esempio, quelle di Paolo Lioy, figure allora considerate ai margini ed invece centrali per arrivare a quella vera e propria svolta nella storiografia nazionale che è rappresentata da “Nazione e lavoro”, pubblicato nel 1979. Con questo libro Lanaro, dopo anni di lavoro silenzioso, divenne improvvisamente noto, anche se per lo più le sue tesi non erano condivise. Usando una documentazione vastissima e del tutto originale, Lanaro ipotizzava una storia d’Italia del tutto diversa da quella della narrazione storiografica ufficiale.

Bobbio scrisse che era un libro bellissimo ma interamente sbagliato. Gli storici liberali, per motivi opposti, reagirono allo stesso modo. Lanaro accostava due termini che alla fine degli anni Settanta sembravano antitetici: la nazione (cara alla Destra), il lavoro (caro alla Sinistra), ma soprattutto intravvedeva nel formarsi del primo liberalismo italiano quella stortura che avrebbe portato irrimediabilmente al fascismo. Come Asor Rosa in letteratura, Lanaro sovvertiva gli schemi classici, criticava tanto la tradizione storiografica socialista quanto quella liberale, accu. sandole di aver mitizzato un’Italia del tutto diversa da quella reale.

Nel tempo poi la lettura di Lanaro si è imposta. In Italia – come lui raccontava – la modernizzazione non è avvenuta secondo linee liberali, ma è stata resa possibile, sin dall’inizio, da forme di autoritarismo che sarebbero poi sfociate nella dittatura. In questo senso anche l’altro grande libro di Lanaro, la “Storia dell’Italia repubblicana”, pubblicato nel 1992, si collega a questa lettura della formazione iniziale dell’Italia. Perché la stortura rimane: anche la nuova ondata modernizzatrice, quella del dopoguerra, risente secondo Lanaro di quei modelli paternalistici, autoritari, non pienamente democratici che caratterizzano l’Italia come nazione. Montanelli, quando lesse il libro di Lanaro, si arrabbiò moltissimo, ma forse si ricredette negli anni successivi, quando l’evoluzione del sistema politico italiano sembrò indicare la permanenza di quel vizio di fondo che Lanaro aveva identificato. Un ultimo libro deve essere ricordato. Nel 1984 la Einaudi affidò a Lanaro la realizzazione del volume “Il Veneto”, che inaugurava la sezione della Storia d’Italia dedicata alle Regioni. Era il riconoscimento ad uno storico capace di dimostrare come la dimensione locale fosse indispensabile per raccontare la storia italiana.

Ecco uno stralcio del ricordo dell’allievo giornalista Filippo Tosatto scritto per il Mattino di Padova:

Docente talentuoso, narcisista nello sfoggiare vocaboli desueti evitando come la peste quelli ordinari, esigeva di più dagli studenti che più assiduamente frequentavano i suoi corsi. In fase d’esame non era di manica larga; lo irritava chi replicava tout court le sue espressioni verbali nel tentativo di ingraziarselo ma coglieva al volo l’interesse genuino e spesso lo premiava, magari con uno spritz amicale. «Ci conosciamo da trent’anni, smettila con questo insopportabile lei», «Non ci riesco, professore», «Ufff». L’ultimo incontro, mesi fa. Ti siamo debitori, Silvio. Non ti dimenticheremo.

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