A trent’anni dal suo arrivo nel Salvador, il regista e fotografo Christian Poveda è stato colpito da quattro spari, in un piccolo paese della zona nord del San Salvador. Il corpo senza vita giaceva nella sua automobile.
Poveda giunge nel San Salvador “reduce” del suo impegno politico, durante il Vietnam, “mettendosi a servizio” dell’attualità del paese, dalla repressione politica di fine anni ’70 alla guerra civile che lacerò il paese dal 1980 al 1992.
Attento osservatore della realtà socio-politica, lascia la fotografia di reportage nel 1990 per dedicarsi all’attività documentaria, nonostante nel 2004, spinto dalle condizioni sociali di estremo disagio e brutalità, realizza un reportage fotografico per Paris Match sulla leggenda dei “Maras”(gang giovanili del centroamerica).
Poveda ci offre 130 ritratti dei giovani di bande rivali. Per ognuno di essi, realizza un’ intervista video, dove mostra come l’orgoglio dei ragazzi risieda nella capacità di annientare “l’altro”.
Più di 14.000 diseredati, dediti al narcotraffico, riconoscono nel proprio clan, la famiglia d’adozione, “investiti” di un codice personale all’insegna dell’ aggressività estetica e violenza quotidiana.
Da anni il Salvador è dilaniato da una guerra senza pietà, tra due bande di strada: la Mara Salvatrucha e la Mara 18. Eredi delle bande degli immigrati salvadoregni che fuggirono dalla guerra civile negli anni ’80 e che, in parte, ritornarono in patria come deportati, alla luce della legge d’immigrazione statunitense del 1996.
Nasce da questo foto-reportage, il documentario La Vida Loca (la Vita Folle), che ha presenziato i maggiori festival internazionali: un documentario sulla solitudine umana assoluta, in cui governa la disintegrazione della struttura familiare.
Il foto-regista “ha seguito” per 16 mesi i membri della Mara 18 (nata nella via 18 de Los Angeles) di un quartiere periferico del El Salvador e, come lui stesso affermò: La morte oscurava le riprese. La stessa morte che lo ha sorpreso a 53 anni.