Scuola sempre più multietnica ma solo uno su cinque degli studenti non italiani pensa di essersi integrato

Nell’anno scolastico 2021/22 gli alunni stranieri nelle nostre classi sono più numerosi di quello precedente. Ma, tra i presidi degli istituti con maggiore presenza di ragazzi non italiani, solo 1 su 5 pensa che la loro integrazione sia pienamente soddisfacente

La scuola italiana è sempre più multietnica. Ma ancora molto poco integrata se uno su cinque di giovani non italiani si sente integrato. A segnalare questa discrepanza tra forma e sostanza è l’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2022. Secondo la rilevazione dell’istituto di ricerca, infatti, nell’anno scolastico 2021-2022 gli alunni non italiani che hanno frequentato le nostre classi sono stati ben 872.360. Circa il 10% del totale. In ulteriore aumento (+0,8) rispetto all’anno precedente.

Difficile integrarsi

Allo stesso tempo, però, in molti casi il coinvolgimento di questi bambini e ragazzi nelle dinamiche scolastiche risulta assai difficoltoso. Secondo il Censis, che ha interpellato oltre 1.400 dirigenti scolastici, negli istituti a elevata presenza di stranieri, solamente 1 preside su 5 (il 19,5%) considera il livello di integrazione di questa componente “del tutto soddisfacente”. E solo poco più di un terzo (35,5%) non riporta particolari criticità nell’ultimo triennio. Nel resto dei casi il lavoro di dirigenti e docenti risulta davvero complicato.

Entrando nello specifico, gli ostacoli maggiori a una perfetta integrazione sono legati alle difficoltà di comunicazione dovute alla lingua d’origine, evidenziate dal 51,5% dei presidi, e alla mancanza di supporto da parte di personale qualificato, su cui ha posto l’accento il 43,7% degli intervistati. Il 41,0%, inoltre, evidenzia lo scarso rendimento scolastico dei ragazzi.

Dove non arriva lo Stato cercano di compensare le scuole

Va anche detto, però, che la maggior parte delle scuole non resta a guardare ma prova a far qualcosa per migliorare la situazione. Il 62,0% dei dirigenti scolastici sentiti dal Censis, dice di aver attivato un laboratorio di italiano per accelerare l’apprendimento della nostra lingua. Mentre per il sostegno allo studio si ricorre diffusamente al sostegno individuale da parte dei singoli docenti (accade nell’86,4% dei contesti) e ad attività di recupero differenziate per i ragazzi con votazione insufficiente (così nel 70,9% delle scuole); nel 40,3% delle comunità scolastiche, infine, si può contare sul supporto di associazioni educative per il doposcuola.

Dinamiche, quelle appena descritte, che ovviamente si accentuano o attenuano a seconda della concentrazione di questi alunni. Perché la situazione è molto disomogenea a seconda dell’area geografica, a dircelo, stavolta, è il report ufficiale del Ministero dell’Istruzione (fermo all’anno scolastico 2020/2021). Basti pensare, infatti, che quasi 2 studenti stranieri su 3 (il 65,3%) frequentano le scuole del Nord Italia e un altro quinto abbondante (22,2%) si trova al Centro, mentre solo il 12,5% è iscritto al Sud Italia.

Da dove arrivano gli studenti non italiani?

E, scendendo ancor di più nel dettaglio, ci si accorge che nelle regioni più popolose il fenomeno è ulteriormente accentuato. Più di un quarto (25,5%) degli studenti con cittadinanza non italiana, infatti, frequenta le scuole della Lombardia (oltre 220mila unità). A seguire troviamo Emilia-Romagna, Veneto, Lazio, Piemonte e Toscana, che assorbono una quota di studenti con cittadinanza non italiana compresa tra l’8,3% e il 12,1%.

In Emilia-Romagna, in particolare, gli studenti con cittadinanza non italiana rappresentano il 17,1% in rapporto alla popolazione scolastica regionale, valore più elevato a livello nazionale; segue la Lombardia con il 16,0%, al terzo e al quarto posto si collocano la Toscana (14,5%) e il Veneto (14,1%) seguite da Liguria (14,0%), Piemonte (13,9%) e Umbria (13,8%). Nelle regioni meridionali, invece, l’incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana è ovunque inferiore alla media nazionale del 10,3%. In particolare, l’indice varia tra il 7,6% dell’Abruzzo e il 2,7% della Sardegna.

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