Che rispetto agli altri Paesi dell’area Ocse il sistema d’istruzione italiano non fosse al top si sapeva, che però i risultati dell’indagine Ocse fossero così “vicini” alla visione e all’azione riformista (o riformatrice?) del ministro Mariastella Gelmini è davvero una notizia. Fatto sta che stamattina, dopo la presentazione dei due Rapporti Ocse sulla scuola italiana al dicastero di Viale Trastevere, la titolare del Miur in una dettagliata nota esprime la sua soddisfazione perché – sostiene – “l’Ocse auspica un’azione riformista e suggerisce provvedimenti urgenti che noi abbiamo adottato fin dal nostro insediamento un anno fa”.
Puntualizzando, altresì, che: “Molte delle osservazioni poste ai sindacati e dall’opposizione vengono smentite clamorosamente (in grassetto nel testo, ndr) da questa indagine”. E via a citare, punto per punto, le “bugie” delle critiche all’operato del governo sconfessate dalle “verità” dell’Ocse (opportunamente filtrate, però, dal Miur che le presenta schematicamente in un comunicato di sei paginette). Quali ad esempio, citandone solo tre a titolo dimostrativo:
Critica 1 – “Ci sono troppi studenti per classe”. L’Ocse dice invece che ci sono troppi docenti per alunno (9,6 docenti ogni 100 alunni, contro una media di 6,5). E questo è un fatto. Però si tratta di un dato “spurio” su base nazionale, da prendere con le molle: prima di operare degli accorpamenti e/o dei tagli sarebbe opportuno verificare la distribuzione geografica e la fattibilità di un piano per una più equa ripartizione dell’organico. Tenendo in debita considerazione lo squilibrio nord/sud.
Critica 2 – “Scatti di stipendio in base all’anzianità”. L’Ocse sostiene che gli incentivi economici devono essere dati ai professori migliori. Giusto, giustissimo: ma questo sistema “premiale” avrebbe senso soltanto se affiancato a un criterio oggettivo – peraltro praticamente universale – che prevede un incremento stipendiale in base all’anzianità di servizio.
Critica 3 – “In Italia si investe poco nella scuola”. L’Ocse dice invece che da noi si spende “molto” rispetto ai risultati ottenuti dai nostri studenti se paragonati a quelli dei loro colleghi stranieri. E per “risalire la china”, dunque, cosa occorrerebbe fare? Spendere meno o investire meglio? Se una nazione “più spende” in Istruzione – e i Paesi scandinavi ne sono un chiaro esempio – “meno spende” in termini di gap economico/finanziario e competitività sul piano internazionale.
I dati, insomma, anche se a volte si dice che “parlano da soli”, vanno interpretati o quanto meno contestualizzati: prescindere dal fatto che l’Ocse non fa una classifica – né una top ten, né una hit parade – tra i diversi sistemi d’istruzione ma prende in considerazione alcuni indicatori per fare un’analisi omogenea del settore a livello macro può indurre a trarre conclusioni affrettate e, a volte, imprecise.
Dall’indagine Ocse emerge chiaramente che per migliorare un sistema scolastico – non solo quello italiano – bisogna puntare su valutazione, selezione, qualità. E per farlo sono necessarie risorse, impegno e dedizione: tutti elementi che non possono prescindere da un investimento – anche economico – mirato e da un’attenzione particolare da parte del governo.
Manuel Massimo
Sarebbe interessante sapere meglio come è composto il campione di studenti intervistato nel rapporto OCSE, in particolare sarebbe utile conoscere i risultati suddivisi tra gli iscritti alla scuola pubblica e privata.
Infatti vengono attribuiti i risultati negativi solo alla scuola pubblica che, guarda caso, viene subito messa sotto accusa per promuovere invece quella privata.
Personalmente non sono riuscito a trovare il rapporto originale per poterlo consultare e verificarne i dati, sarei quindi grato a chiunque mi possa fornite indicazioni per poterlo consultare oppure a chi mi possa fornire i risultati suddivisi tra gli iscritti alla scuola pubblica e privata.
Sono infatti un docente che insegna nel triennio di un Istituto Tecnico Statale Industriale e mi trovo talvolta ad esaminare degli studenti esterni provenienti da scuole private, posso affermare che il loro livello di preparazione in genere è molto scarso.
Mauro, Genova
Facciamo due conti.
Per l’Ocse il rapporto tra alunni e studenti in Italia è di 1 / 16.
In realtà se leviamo dal calcolo insegnanti di religione cattolica (20mila assunti a tempo determinato a carico del contribuente) e insegnanti di sostegno (c.a 80mila) che in altri paesei sono a carico del Welfare e non della Scuola, il rapporto tra studenti e alunni scende intorno a 1 / 12 (in linea con il rapporto 1 insegnante / 11 studenti, che è la media dei paesi Ocse).
Se poi a questi numeri, aggiungiamo i tagli appena effettuati sul personale insegnante, i numeri si ribaltano.
I numeri Ocse dimostrano inoltre che – se nella scuola primaria il rapporto tra alunni e investimenti è in sintonia con la media di altri paesi – nei successivi gradi di istruzione l’Italia spende meno per ogni alunno. Non solo, il tasso di crescita degli stipendi degli insegnanti italiani – nel decennio 19996/2006 – è stato di circa 1/3 inferiore rispetto alla media dei paesi Ocse.
Ma è quello del rapporto Investimenti sull’istruzione / PIL il rapporto decisivo: In Italia abbiamo un 4,7% contro un 5,8% di altri paesi.
Insomma: questi sono i valori in campo. La scuola italiana, paragonata ad altre, vale meno. Sono i numeri a dirlo. Ogni cosa vale per quello che la consideriamo. Appare evidente che in Italia, la percezione del valore della scuola (come Istituzione) è bassa. E questo proprio perché sull’istruzione i numeri sono bassi.
Se – poi – come parrebbe si ritiene di dover investire ancor meno, vuol dire che non si fa conto su un eventuale ritorno (quello che gli aziendalisti chiamano il ROI), ma si cerca semplicemente di ridurre quello che è percepito come un costo inutile.
Si tratta di una scelta lecita, non condivisibile ma lecita. L’importante è che sia – però – detta a chiare lettere, e questo non ci pare proprio.