“Non ho paura dei computer, ma della loro eventuale mancanza”. Un’immagine icastica quella dipinta da Isaac Asimov. Eppure, così rappresentativa della seconda grande rivoluzione culturale che dopo la scrittura ha stravolto radicalmente modi e tempi del pensiero. Nell’era dell’Information and Communication Technology quello dell’alfabetizzazione informatica è un concetto già obsoleto e lontano anni luce dalle mutevoli esigenze del mercato attuale. Talmente obsoleto che in Italia se ne comincia a parlare solo oggi.
A farne le spese soprattutto la scuola che registra forti ritardi rispetto alla media europea. È quanto emerso dalla prima indagine dell’Osservatorio su Formazione e Certificazione informatica nell’Università e nella Scuola, istituito dalle sinergie tra l’Associazione italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico (AICA), il Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica (CNI) e la fondazione CRUI con l’obiettivo di monitorare la diffusione della cultura informatica nelle scuole secondarie di Lazio, Puglia e Lombardia.
In tali regioni – scelte essenzialmente per la loro collocazione geografica differenziata e l’elevata numerosità di popolazione studentesca presente – hanno partecipato al sondaggio 500 delle 1.526 scuole contattate, registrando un tasso di adesione intorno al 30% e un “risultato al di sopra delle aspettative” di Carla Calzarossa, responsabile dell’Osservatorio, considerata la loro “adesione volontaria e senza alcun tipo di incentivazione”.
Ottima la risposta degli istituti tecnico-commerciali in cui l’informatica costituisce del resto una delle materie portanti del curriculum scolastico. Non troppo adeguata quella dei licei classici e artistici nei quali probabilmente vige ancora la dannosissima regola dello “scritto è bello”. Novantacinquemila nel complesso gli studenti coinvolti in attività informatiche curricolari o extracurricolari, con un livello di coinvolgimento evidentemente diverso da scuola a scuola.
A fronte del 71% di istituti professionali che prevedono l’informatica come insegnamento curricolare, per esempio, solo 17% dei licei artistici ha scelto una simile impostazione, attestandosi addirittura intorno allo 0% nell’inserimento della stessa tra le discipline curricolari aggiuntive.
Per quanto riguarda il tipo di attività svolta, i corsi interni volti all’ottenimento di una certificazione riconosciuta (ECDL) risultano pari all’89%. Solo il Lazio registra una “percentuale apprezzabile pari a circa il 13% di istituti che affidano le attività di certificazione all’estero”. Se nella maggior parte dei casi, gli studenti sono orientati al conseguimento dell’ECDL FULL (patente europea del computer), un numero significativo di studenti, concentrati prevalentemente negli istituti professionali in Puglia, ha optato per l’EUCIP Core Level che fornisce solide basi spendibili in tutti i mestieri legati all’ICT.
Dati che riflettono l’orientamento degli studenti nei confronti della prosecuzione degli studi. Più del 90% degli studenti dei licei si iscrive infatti all’università, mentre tale percentuale scende a valori compresi tra circa il 37% e il 58% per gli istituti tecnico- professionali. La percezione dell’utilità da parte degli studenti intervistati della certificazione ECDL è decisamente positiva: circa i ¾ degli studenti intervistati ritengono “molto” o “abbastanza utili” le competenze certificate in vista della propria carriera accademica e lavorativa, percependo l’onere economico sostenuto “adeguato” ai risultati ottenuti.
Un’immagine nel complesso positiva, quella emersa dall’indagine. Se non fosse per il fatto che la formazione sia tuttora “a prevalente carattere strumentale”, essendo limitato “per estensione e approfondimento l’approccio culturale all’informatica come lingua franca”, capace di facilitare il dialogo interdisciplinare.
Nulla di sorprendente se confrontato con i dati Assinform del 2008 secondo cui la scuola italiana disporrebbe di soli otto computer ogni 100 alunni – la media europea si attesta intorno ai 25- e soltanto il 2% del PIL – in Usa più del doppio- è destinato alla spesa nell’information technology. Una situazione che secondo l’associazione potrebbe peggiorare nel 2009 e che tasta il polso alla sostanziale disconnessione denunciata dal direttore Ex Indire Giovanni Biondi “tra società e scuola, costruita quest’ultima su un modello di società industriale che oggi non ci appartiene più”.
Eliminare i laboratori informatici dalle scuole. Questo l’ambizioso auspicio del rettore della Tuscia di Viterbo Marco Mancini, segretario generale Crui, nel senso di “portare l’informatica entro le mura della classe, non lasciandola relegata in laboratori utilizzati troppo poco spesso”. Ma in questo processo di parificazione tra mouse e penna “la formazione dei docenti unita alla buona volontà, prima e imprescindibile risorsa”, saranno le sole a poter fare la differenza. Ma solo se usate con tempestività.
Valentina De Matteo
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