Si chiamano ‘plasmaroni’ le nuove quasiparticelle individuate nel cuore del grafene, fondamentali per decifrare le proprietà elettroniche notoriamente eccezionali di questo materiale. Un risultato importante – si tratta infatti della prima osservazione diretta di simili particelle complesse – frutto di una collaborazione internazionale che vede coinvolti i ricercatori italiani del laboratorio Nest dell’Istituto di nanoscienze del Cnr e della Scuola Normale Superiore di Pisa, insieme a laboratori di Berkeley, Erlangen, Berlino, Austin e Tehran.
L’esistenza dei plasmaroni era stata predetta da lungo tempo su basi puramente teoriche, ma non vi era mai stata evidenza sperimentale. “Il nostro lavoro è la prima osservazione diretta della loro dispersione nel grafene o in ogni altro materiale”, spiega Marco Polini del Nest di Pisa.
Il nuovo fenomeno osservato riguarda sorprendenti dettagli della struttura elettronica del grafene, il nano-materiale costituito da un solo strato di atomi di carbonio disposti in un reticolo a nido d’ape. Proprio in virtù di questa disposizione, il grafene è una sorta di foglio di carbonio infinitamente sottile, al cui interno gli elettroni possono muoversi con estrema mobilità, spostandosi come particelle del tutto prive di massa.
Oggi, la possibilità di capire le interazioni tra gli elettroni e altre eccitazioni elementari, come le onde di plasma o ‘plasmoni’, ovvero le oscillazioni di densità del ‘mare’ di elettroni, permette una più ampia comprensione delle qualità elettroniche del grafene. Un plasmarone è infatti una particella complessa composta da un portatore di carica, come una buca o un elettrone, e da un plasmone.
“La loro osservazione non ha semplicemente rilevanza di natura fondamentale, ma può aprire la strada a importanti ricadute tecnologiche”, continua Polini, “ad esempio sviluppo del grafene come piattaforma tecnologica per la ‘plasmonica’, una branca della nanofotonica che esplora, tra l’altro, come realizzare connessioni ottiche superveloci tra circuiti integrati centomila volte più veloci che in un normale microchip, o come realizzare biosensori ottici estremamente sensibili e selettivi”.
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