Romadrileño, vi racconto la mia Madrid

Qui Madrid, è passato poco più di un mese dagli scontri successivi alle proteste del #25S ma l’odore acre dei lacrimogeni e il suono sordo dei manganelli sembra ancora aleggiare nelle strade del centro della capitale spagnola.


IL DIARIO
Qui Madrid, è passato poco più di un mese dagli scontri successivi alle proteste del #25S ma l’odore acre dei lacrimogeni e il suono sordo dei manganelli sembra ancora aleggiare nelle strade del centro della capitale spagnola.

I turisti riempiono la Gran Via e Puerta del Sol, sono una cornice che rende più gradevole un quadro che altrimenti risulterebbe più tetro e misterioso del Cristo di Burgos, detto in gonnella. Ed è proprio in gonnella, anzi a volte anche senza, che si sente la maggior parte dei cittadini spagnoli che ho potuto incontrare e con cui curiosamente mi sono soffermato a chiacchierare, chiedere, scambiare opinioni.

Dov’è finito il contagioso entusiasmo iberico? La constante ricerca della spensieratezza e del divertimento che ha contraddistinto l’escalation spagnola dalla fine della dittatura del Caudillo Franco fino a qualche anno fa? Sembra che qualche meccanismo si sia inceppato, che la macchina della movida sia da riparare ma non si trova un meccanico che ne sia capace.

Il capro espiatorio di questo frangente storico si chiama Mariano Rajoy, dalla Galizia con due sconfitte contro Zapatero sulle spalle e l’onere di tirare su un’economia che fa molta fatica. Non proprio un salvatore della patria, né un simpatico oratore in cerca di platee da scaldare, tutt’altro!

E’ la coesione sociale ad essere a rischio, e la sensazione mi viene confermata da un gruppo di signori che si incontra per una caña al Casa Labra, storico bar del centro, famoso per essere stato protagonista della fondazione del partito socialista nel 1879. Un pensionato sostiene che il governo debba mostrare più attributi e non aspettare regole e soluzioni dall’Europa, mentre l’amico avvocato ripete compulsivamente che senza l’Euro la situazione sarebbe peggiore. Un operaio di Barcellona, da anni residente per lavoro nella capitale, s’impone alzando la voce: sogna una Cataluña autonoma e butta in mezzo alla querelle anche Re Juan Carlos, in vertiginoso calo di popolarità e colpevole a prescindere.

Arrivano quasi alle mani, se non fosse per il quarto commensale che li riporta sulla terra e sulle crocchette di baccalà ancora calde; una fotografia esplicativa dell’aria che si respira da queste parti.
Ma la strada per uscire dalla crisi non può essere la divisione né le lotte fratricide. La pensa così anche la maggior parte dei catalani, che nella festa dell’Ispanità (il 12 ottobre, giorno in cui Colombo sbarca nel nuovo mondo) si sono riuniti sulle Ramblas per far sentire la loro voce di cittadini orgogliosi di essere spagnoli e fiduciosi in una soluzione che porti la nazione fuori dalla crisi, non la Cataluña fuori dalla Spagna.

Il 14 novembre è previsto un altro sciopero generale: studenti, disoccupati, lavoratori del settore pubblico e privato, uniti per chiedere risposte alla politica tanto nazionale quanto europea. Tutti auspicano una via d’uscita che non comporti un ulteriore indebitamento dei conti pubblici e che possa far tornare a splendere il sole su una delle penisole più affascinanti e variopinte del pianeta.

Nicola Bisceglia

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