Madrid, #14N huelga general: sciopero generale sarebbe la traduzione, ma la definizione più azzeccata è serrata generale. Sono pochissime le serrande aperte, è difficile capire se per partecipazione volontaria o per paura di incidenti e atti vandalici.
Mi dirigo verso la fermata del bus, sperando in un servizio minimo garantito. Dopo cinque minuti alla parada capisco che l’attesa sarà vana dagli sguardi della gente; con gli occhi mi dicono: è inutile che aspetti, non passerà nessun autobus. Il cielo è aperto, il sole non riscalda molto ma illumina la città, mi tocca una lunga passeggiata, spero sarà gradevole. I camion della polizia presidiano praticamente ogni angolo, il governo e l’amministrazione locale hanno paura degli scontri e cercano di evitarli con un dispiegamento di forze dell’ordine straordinario, ma già a prima mattina più di cinquanta manifestanti sono stati arrestati e la tensione è palpabile. Il ricordo delle cariche e dei feriti del #25S è ancora vivo e la speranza è che la situazione non degeneri.
Carlos cammina fiero con una bandiera del suo sindacato in spalla, si sta dirigendo verso plaza Cibeles, faccio un pezzo di strada con lui. “Non si può proseguire con questa pagliacciata, ci ingannano con la crisi globale e continuano a fare solo i loro interessi”. E’ deluso, anche lui ha votato il partito popolare giusto un anno fa, ma si sente preso in giro da un governo che secondo lui non pensa alle esigenze dei cittadini. Improvvisamente la nostra conversazione è interrotta da schiamazzi e rumori indistinti, una decina di manifestanti stava costringendo un negoziante a chiudere e la polizia è arrivata in suo soccorso, l’operazione non è pacifica. Carlos mi spiega: “questi che coprono il volto per manifestare non mi piacciono, io ci metto la faccia, difendo i miei diritti e non voglio privare nessuno dei suoi. Non è un diritto del commerciante quello di aprire oggi? Beh, io voglio che sia rispettato anche quello, d’accordo?”.
Percorrendo calle Alcalà intravediamo un picchetto pacifico di fronte al municipio, sono i dipendenti pubblici che protestano di fronte al loro posto di lavoro. Mi fermo con Carmen e Juan, funzionari. “Manifestiamo contro i tagli selvaggi dei salari, abbiamo perso oltre il 30% del nostro potere d’acquisto, non ce la facciamo più”. Ma di chi è la colpa? Gli chiedo. “Rajoy”, “Zapatero” scoppiano a ridere. Juan mi spiega: “Io ho detto Rajoy ma effettivamente la cattiva gestione della crisi parte da prima. Però sono queste misure che ci stanno massacrando! La pubblica amministrazione si è trasformata nel bancomat del governo”. “Quello che ci da più speranza è che la mobilitazione sia estesa anche ad altri paesi europei, lo sai che anche a Roma stanno manifestando?”.
Proseguo la passeggiata, poco più avanti altro picchetto: i lavoratori del servizio medico di urgenza, arrabbiati come pochi. “Ci stanno calpestando, hanno aumentato la giornata lavorativa e tagliato lo stipendio, non ne possiamo più!” Luis, faccia da pacione che oggi trapela rabbia, la personificazione di un ossimoro. “La cosa peggiore è che gli amministratori locali dovrebbero difendere i nostri diritti, ma non lo fanno! D’altronde cosa ti puoi aspettare da un rappresentante che non hai scelto?”. Il riferimento è ad Ana Botella, moglie di Aznar, chiamata a sostituire Gallardon, sindaco in carica da cinque mesi reclamato al governo per il ministero della giustizia… una sorta di commedia all’italiana!
La giornata scorre rapida, tra foto e confronti con la gente sono quasi arrivate le 18, l’ora del corteo. Prima però noto un altro picchetto molto folkloristico, non posso fare a meno di avvicinarmi. Siamo di fronte al ministero dell’educazione, alcuni manifestanti hanno convertito il marciapiede in una sorta di asilo nido. Giovani mamme urlano al governo: “non tagliate il futuro dei nostri figli, non possiamo allattare la vostra crisi”, fanno tenerezza con i loro piccoli in braccio.
Sono le sei, è ora di raggiungere il presidio per iniziare il corteo. L’assembramento è spaventoso, non riesco a vedere uno spazio vuoto in plaza Nettuno neanche alzandomi su una panchina. Ognuno con il suo slogan, ognuno con i suoi motivi, ognuno con i suoi sogni. E’ stato bello conoscerne uno spaccato, la speranza che condividiamo è quella di un futuro con più giustizia sociale.
Nicola Bisceglia
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