“Il nostro sistema universitario non è europeo per tre aspetti: siamo tra gli ultimi per numero di studenti, per rapporto docenti-studenti, ultimi per età sia di studenti che di docenti”. Una fotografia grigia quella fatta dal rettore dell’Università di Bologna, Francesco Umbertini, alla Commissione Cultura della Camera dove si stanno tenendo le audizioni per la riforma che dovrebbe rinnovare il sistema universitario italiano. “Emerge un sistema sottodimensionato sia di studenti che di docenti – continua il Magnifico -. Qualsiasi riforma in tal senso dovrà essere adeguatamente finanziata per risalire la china”. Nel 2018 il Finanziamento Ordinario all’Università (FOE) era di 7 miliardi 240 milioni, tra le previsioni di spesa della legge di Bilancio che dovrà essere approvata nei prossimi giorni è previsto un finaziamento di 8 miliardi 234 milioni: un incrementeo del 12%. Tali sisorse, però, non sono sufficienti per un reale reclutamento di docenti e ricercatori.
Il processo iniziato nel 2019, oggi si potrà avvalere delle risorse derivanti dai fondi per l’emergenza e il rilancio economico del Recovery plan (circa 9 miliardi). Punto nevralgico del cambiamento è il metedo di reclutamento di docenti e ricercatori. Riforme che l’Europa chiede da anni al sistema accademico del Bel Paese, che non è mai riuscito a tenere il passo dei suoi vicini. All’udizione, tenutasi pochi giorni fa in piena pandemia, hanno partecipato i rappresentanti della Conferenza dei rettori, la CRUI, e il presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), insieme ai deputati chiamati a predisporre un documento di attuativo che possa trasformarsi in proposta di legge.
“Come CRUI, in condivisione con il CUN, stiamo lavorando ad una serie di interventi per la fase iniziale della carriera: una figura post laurea, un ricercatore post doc (limitato nel tempo), professore in tenure”, ha spiegato Umbertini. Il percorso di reclutamento e formazione dei docenti, contenuto nella bozza di proposta ancora in lavorazione, prevede la possibilità di diventare professori associati in un’età stimata intorno ai 37 anni. Ciò comporta anche il “superamento dell’attuale assetto di assegnatari di borse di ricerca, ricercatori di tipo A e B, che va superato”, afferma il rettore dell’Alma Mater. Sottolineando, poi, come sia necessario per l’Italia tornare sotto la media europea dell’età media dei docenti (sotto i 50 anni). “Non dobbiamo introdurre risorse a singhiozzo ma spalmate nel tempo perché anche questo è un fattore importante per una seria programmazione”.
“Oggi c’è pochissima mobilità. Si inizia e si finisce la carriera accademica all’interno della propria Università – afferma il presidente del CUN, Antonio Vicino – andrebbe reintrodotto lo strumento dell’istituto del trasferimento eliminato dalla legge Gelmini. Nonché Il rafforzamento dello strumento di chiamata diretta”. Riguardo alle commissioni che devono esaminare l’assegnazione delle cattedre, o borse di ricerca, la partita è ancora aperta e non vi è nessun accordo. Per la CRUI basterebbero “tre commissari a maggioranza esterni” all’Ateneo che mette a disposizione la cattedra. Per il CUN invece bisognerebbe averne cinque, per aumentare la garanzia di trasparenza durante le esaminazioni. “Dopo il periodo di dottorato non dovrebbero passare più di undici anni prima di poter diventare docente di ruolo – afferma Vicino – questo aspetto è fondamentale ai fini di un’uniformazione a livello europeo. I problemi dell’Università non si risolvono con una norma ma con adeguate risorse con cui viene sostenuta”.
Negli ultimi anni il modello localistico degli Atenei in Italia è stato alla base di molti scandali di cui sono piene le cronache giudiziarie. Il rischio è che tale riforma, così concepita, non sradichi il sistema basato sulla cooptazione personale all’interno delle università. “Non è solo un problema di concorsi – afferma il prof. Nunzio Miraglia dell’Associazione Nazionale Docenti Universitaria (ANDU) – ma a monte della scelta dei dottorandi nel nostro Paese. Il problema di fondo riguarda proprio le commissioni che dovrebbero essere sorteggiate tra esterni qualificati, sia associati che ordinari, escludendo i docenti dell’ateneo in cui è messa a bando la posizione. Fare delle liste su delle specifiche caratteristiche come vorrebbe la CRUI non garantisce una reale trasparenza”. La proposta avanzata dall’ANDU prevede anche la possibilità di creare dei concorsi con varie sedi per materie e stilare delle graduatorie in cui i migliori tra i selezionati possano scegliere tra le varie sedi in basi al punteggio ottenuto. “Un ulteriore livello che può far venire meno quei legami localistici che per decenni hanno bloccato la libera partecipazione per merito alla vita accademica”.
Sono circa 50mila i precari del mondo universitario. Un divario che allontana l’Italia dagli altri stati membri delll’Unione e che non trova posto nella discussione della Commissione. “Si deve abolire il precariato senza abolire gli attuali precari”, continua Miraglia. L’unica soluzine sarebbe quella di bandire dei concorsi per stabilizzare tali posizioni. “Da 35 anni a questa parte il sistema universitario di libera didattica, libera ricerca e libera docenza, è stato destrutturato per togliere risorse ad un sistema diffuso e convogliarle nelle cosidette eccellenze, applicando nei fatti solo una politica di risparmio”. Una riforma su cui si animano varie parti del sistema accademico e la cui riuscita o fallimento sarà legato agli investimenti del Recovery Fund dedicati all’Istruzione.
Marco Vesperini
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