Ricercatore emigrato polemizza contro l’Italia La ricerca e’ un treno che corre e “l’Italia lo sta perdendo”. Su questo fronte “il nostro Paese resta purtroppo uno dei fanalini di coda in Europa”, e il problema non e’ certo la carenza di talenti: “E’ la volonta’ di rilancio che non esiste proprio”. E’ severo il giudizio di Antonio Iavarone, cervello italiano emigrato negli Usa nel 1999 insieme alla moglie e collega Anna Lasorella, con la quale lavora al Columbia University Medical Center di New York. In un’intervista all’Adnkronos Salute, lo scienziato non risparmia dure critiche al sistema: “Da quando me ne sono andato la situazione non e’ migliorata, anzi mi sembra che vada anche un po’ peggio. La speranza non si deve mai perdere”, precisa. “Ma piu’ ancora del passato – confessa – mi preoccupa il futuro: chi in Italia potra’ cambiare le cose? Qual e’ la classe dirigente illuminata che ha la volonta’ di farlo? Oggi io non la vedo”. Noto alla comunita’ scientifica internazionale per le sue ricerche sul tumore al cervello, Iavarone ha appena pubblicato assieme alla moglie su ‘Nature Genetics’ un nuovo studio che apre concrete prospettive per la definizione di terapie personalizzate contro il glioblastoma multiforme, la forma piu’ diffusa e aggressiva di neoplasia cerebrale. Un sogno, quello di battere il cancro, che Iavarone e Lasorella avrebbero voluto realizzare in Italia. Erano in forze al Policlinico Gemelli di Roma, ma alla fine degli anni ’90 se ne andarono denunciando un caso di nepotismo ai loro danni. Nepotismo e burocrazia, due mali italiani che dal punto di vista di Iavarone continuano a ostacolare la ripresa del Paese: “L’ho lasciato da anni ormai, ma mi pare di capire che non sia cambiato molto e sicuramente non in meglio. La verita’ e’ che in Italia le carriere non avvengono quasi mai in modo trasparente e secondo il criterio della meritocrazia, l’unico che dovrebbe contare”. Ecco perche’, per la ‘coppia della ricerca’, ora piu’ che mai tornare in patria non appare una strada percorribile: “Ho sempre detto che sarei felice di contribuire a migliorare le condizioni dell’universita’ e della ricerca in Italia, ma non ci sono le condizioni. Serve la voglia di fare – ripete lo scienziato – e questa voglia non c’e'”.
“Per poter ‘calamitare’ scienziati validi dall’estero, che siano cervelli italiani che tornano o stranieri che arrivano – dice Iavarone – l’Italia dovrebbe realizzare dei centri di ricerca veramente competitivi e attrattivi. Dovrebbe costruire un ambiente internazionale, con persone scelte in base alle proprie reali capacita’, e dovrebbe investire in progetti ambiziosi di grande visibilita’ internazionale. Invece non lo fa, e l’impressione e’ che questi obiettivi non siano nell’agenda di nessuna forza politica. Eppure – osserva lo scienziato – il rilancio dell’Italia dovrebbe passare proprio dal sostegno concreto alla ricerca e all’innovazione”. “Perche’ – si chiede Iavarone – nel calcio e’ perfettamente chiaro per vincere la Coppa del mondo servono i giocatori migliori, mentre quando si parla di ricerca questo semplice concetto non passa?”. Anche e soprattutto in campo scientifico, incalza lo studioso, “dobbiamo avere la presunzione, persino l’arroganza, di diventare i primi. Ce la possiamo fare – e’ convinto – ma per riuscirci bisogna prima capire cosa fa il resto del mondo, parlare la stessa lingua, adottare una visione internazionale e portare da noi i migliori ‘calciatori’ della ricerca”. E’ troppo tardi per recuperare? “La speranza ci deve sempre essere”, ribadisce lo scienziato. “Ce lo insegnano esperienze come quella di Singapore, che dal punto di vista scientifico non aveva alcuna storia, ma nel giro di 10 anni e’ riuscita a diventare un punto di riferimento assoluto a livello internazionale. Ma bisogna volerlo e in Italia chi lo vuole davvero? Quando torno nel nostro Paese e partecipo a incontri – racconta – mi capita spesso di parlare con persone estremamente capaci, con opinioni che condivido. Ma poi, quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, i concetti espressi sembrano non avere piu’ valore. E’ indispensabile che, specie chi ha il compito di prendere decisioni importanti per l’Italia, sia in grado di confrontarsi con il mondo internazionale”.
Nemmeno l’America e’ perfetta, ammette Iavarone. “Pero’ quello che si trova qui, e non in Italia, e’ la volonta’ di restare competitivi, di investire in progetti importanti e di premiare il merito. Insieme alla capacita’ di trasferire le ricerche che escono dai laboratori in occasioni di business, grazie a incubatori tecnologici che hanno proprio il compito di creare indotti commerciali vantaggiosi per tutti”. Per i pazienti che aspettano nuove cure, per gli scienziati che hanno bisogno di fondi, per l’economia del Paese. “In questo l’Europa e’ indietro in generale – puntualizza il ricercatore – ma nel panorama europeo l’Italia e’ tra i fanalini di coda. Ne ho la prova quando mi trovo a congressi internazionali importanti, a ragionare insieme ai colleghi su quelli che sono oggi i punti di riferimento internazionali. Ebbene: si parla di Svizzera, di Inghilterra, anche di Spagna e di Francia, pero’ l’Italia non e’ quasi mai citata”. E poi, riflette Iavarone, “c’e’ anche un altro aspetto che rende l’Italia diversa e unica ed e’ la condizione del Sud. Una situazione del tutto inaccettabile per un Paese sviluppato. In campo sanitario, purtroppo, quando si tratta di gestire malattie difficili come ad esempio tumori maligni per i quali non esiste oggi una cura standardizzata, i malati si ritrovano soli nella loro disperazione. E cosi’ cercano risposte altrove, vanno su Internet, finiscono in mani sbagliate. Si parla tanto del caso Stamina, ma proviamo a chiederci perche’ questa vicenda si sta consumando in Italia e non altrove. La risposta e’ che nel nostro Paese non c’e’ cultura medico-scientifica, e spesso anche nella comunicazione mediatica manca rigore”. Per dare risposte serie ai malati, chiude Iavarone, la soluzione e’ una sola: “Creare grandi centri di ricerca in grado di offrire assistenza adeguata e terapie innovative”.