L’Italia al secondo posto dietro al Regno Unito. Il campo di riferimento non è né il calcio né la Formula Uno, ma il settore produttività del sistema scientifico. Nonostante la crisi e la carenza di risorse, il nuovo Rapporto 2010 sull’Innovazione, realizzato dalla Fondazione Cotec e presentato ieri alla Farnesina, sottolinea la discreta capacità del Bel Paese di presidiare i principali fronti della ricerca scientifica. Tra il 1998 e il 2008 – si legge nel rapporto – la percentuale di articoli realizzati in collaborazione con i ricercatori stranieri è passata in Italia dal 38% al 45%. Segue poi la percentuale di invenzioni brevettate da organismi italiani in collaborazione con inventori stranieri. Una parte dei nostri ricercatori, quindi, farebbe una buona ricerca e i risultati sembrerebbero avallati anche dal numero di pubblicazioni immesse sul mercato.
Ma i complimenti al nostro Paese si fermano qui. I dati del Rapporto 2010 rispecchiano anche gli effetti della grave crisi economica internazionale che ha inciso fortemente nelle attività di Ricerca ed Innovazione, sia in ambito pubblico, sia in quello delle imprese. Tra il 2008 e il 2009 In Italia il 26% delle imprese innovatrici ha ridotto i propri investimenti in innovazione, in misura superiore alla media europea (23%).
Un dato preoccupante che fa profilare una situazione di ulteriore arretramento dell’Italia rispetto ai paesi più innovativi, con gravi ripercussioni negative sulla competitività internazionale del sistema produttivo nazionale e sulle performance economiche.
A mancare in Italia, secondo Claudio Roveda direttore generale della Fondazione Cotec, è una cultura dell’innovazione che possa creare un clima favorevole per sviluppare condizioni migliori per il futuro. “Guidare i giovani verso una profonda conoscenza e confidenza nei confronti della scienza e della tecnologia – sottolinea Roveda – vuol dire incrementare le capacità competitive e di innovazione del nostro paese”.
Un altro traguardo che dovremmo porci è la capacità di trasferire la ricerca universitaria nell’impresa. Le università dovrebbero fare ricerca secondo nuovi modelli. “Non si può produrre prima e poi andare a vendere senza un accordo base tra imprenditori e ricercatori”, precisa Roveda.
A guardare con un po’ di spavento agli ultimi dati del Rapporto è il prorettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone. “Lo sforzo che bisogna fare è passare da una legge di domanda ed offerta ad una logica di cooperazione. Dall’idea che l’università pensi e generi idee e altri debbano prenderle ad una situazione in cui scegliamo logiche di cooperazione. L’individuazione di un progetto e il suo sviluppo dovrebbero passare sia dai ricercatori che dall’impresa. Ma prima di tutto dobbiamo avere buone università e buone imprese per fare della buona innovazione”.
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