Al massimo uno studente copione rischia l’invalidazione della prova e una macchia sul libretto universitario. Ma se a copiare è un docente il discorso si fa molto più serio: possono addirittura aprirsi le porte del carcere. Lo stabilisce la Cassazione che applica un giro di vite nei confronti dei professori che realizzano pubblicazioni servendosi delle tesi degli studenti.
Secondo la Suprema Corte, infatti, un comportamento di questo tipo configura il reato di truffa con la conseguente condanna del “docente-copione” al carcere oltreché ad una salata multa al risarcimento dei danni subiti dagli studenti.
Applicando questo principio, la seconda sezione penale (sentenza 34726) ha confermato la condanna a sette mesi di reclusione per truffa oltre nei confronti di Fabio R., un giovane docente presso l’università di Trento che per concorrere alla cattedra di professore ordinario aveva pubblicato un libro che per i due terzi copiava integralmente le tesi di laurea di alcuni suoi studenti.
Nel ricorso in Cassazione, dichiarato inammissibile dagli Ermellini, il professore ha tentato di giustificarsi dicendo che non poteva trattarsi di violazione del diritto d’autore, perché le parti delle tesi copiate non avevano le caratteristiche di novità e originalità, “costituivano, invece, una mera opera compilativa che al massimo – secondo il professore – risultava essere un’opera collettiva”.
Il docente, inoltre, è stato condannato anche a 3000 euro di multa e a risarcire i due studenti autori delle tesi copiate per i danni patiti. Legittimamente la Corte d’Appello di Trento aveva ravvisato nel suo comportamento anche il reato di truffa, oltre alla violazione del diritto d’autore, in quanto «l’opera presentata dall’imputato come sua» era «stata redatta con la tecnica del copia e incolla effettuata dai floppy disk» usati dai due studenti e consegnati insieme alla tesi al loro professore relatore.
Inoltre, avvertono ancora i supremi giudici, che la legge 474 del 1925 «la repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli» intende punire non soltanto «un lavoro compilato interamente da un soggetto diverso da quello che ne appare l’autore, ma anche il fatto oggettivo che il lavoro non sia proprio, cioè non sia frutto del proprio pensiero, svolto anche in forma riepilogativa o espositiva, ma che esprime tuttavia quello sforzo di ripensamento di problematiche altrui che si richiede per saggiare le qualità espositive di un candidato».
Manuel Massimo
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