Professor’s privilage, che cos’è e perché se ne parla in relazione ai brevetti

Approvato anche dal governo Meloni il Ddl che punta a favorire il trasferimento tecnologico tra università e imprese

Il primo dicembre il governo ha approvato il disegno di legge per la revisione del Codice della proprietà industriale, già voluto e approvato dal governo Draghi. In sostanza le nuove regole eliminerabbero il “professor’s privilage”, cioè la possibilità da parte di un ricercatore o docente di un’università di registrare a proprio nome un brevetto, in forza dell’autonomia della ricerca, e non a nome dell’ente o ateneo di appartenenza.

Il cambiamento è stato voluto sia dagli atenei che cercano sempre di più di far fruttare le proprie ricerche per supperire alla mancanza di fondi da parte dello Stato, sia delle grandi imprese che vedono ciò come una possibilità di tagliare gli investimenti in ricerca a sviluppo sfruttando, indirettamente, i fondi statali. Durante il governo Draghi era l’allora viceministro dello Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Fratin, oggi ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ad esaltare la norma: “E’ un bel segnale per le aziende italiane: in linea con l’Unione europea, con una riforma del Mise inserita all’interno del Pnrr, iniziamo un percorso attuativo su un tema fondamentale per la nostra politica industriale e la nostra competitività”. Il ribaltamento del professor’s priviledge viene accolto con favore anche dal ministero dell’Università, dal momento che la norma allinea l’Italia alla maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, dove la titolarità delle invenzioni realizzate dal personale di ricerca è attribuito, in prima battuta, alla struttura di appartenenza e solo in caso d’inerzia di quest’ultima al ricercatore.

Brevetti: qual è la situazione

Già con le norme attuali era ben difficile che un professore universitario riuscisse da solo a promuovere le proprie invenzioni, spiega Giuseppe Schettini, professore al dipartimento di Ingegneria industriale, elettronica e meccanica di Roma Tre: “Le nuove regole mi sembrano un po’ una limitazione della libertà di ricerca. Però d’altra parte quando è capitato a me di sfruttare economicamente un mio lavoro mi sono rivolto all’Università, sia per comodità sia perché bisogna affrontare delle spese di una certa entità. Dipende anche dalla singola università, da quanto è organizzata”.

“Gli uffici brevettuali che funzionano bene sono il nostro – afferma Daniele Archibugi, economista, dirigente del Cnr – quello del Politecnico di Milano e quello del Politecnico di Torino. Per cui questa riforma cambierà poco le cose. Lo sfruttamento economico delle invenzioni universitarie è molto limitato al momento: conosco qualcuno che è riuscito a comprarsi la casa al mare, ma sono in pochi. C’è una certa rilevanza dei brevetti solo nel settore farmaceutico”.

E la ricerca di base?

Ma nel mondo accademico molti sono perplessi: “Difficile valutare al momento se questo provvedimento possa portare benefici al sistema universitario nazionale. – ragiona Andrea Capotorti, membro del direttivo dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) -. Di sicuro però ci preoccupa il cambio di paradigma per cui anche i ricercatori universitari sono alla stregua dei dipendenti privati. Questo temiamo possa spingere gli atenei a dirottare sempre più risorse e valore su settori e docenti che portino profitto diretto ed esplicito, con tanti saluti per la ricerca disinteressata e di base, che sarà ulteriormente trattata come la cenerentola delle missioni accademiche”.

LEGGI ANCHE:

Total
1
Shares
Lascia un commento
Previous Article

Studenti imbrattano gli spogliatoi della scuola: niente sport fino a gennaio. Al suo posto lezioni di educazione civica

Next Article

Studente di 12 anni precipita dalle scale a scuola e fa un volo di 4 metri: è grave

Related Posts