Una “svista” gradita a 1.329 candidati quella avvenuta all’Università di Firenze dove lo scorso 8 settembre si è svolta la prova di accesso per Farmacia, Biotecnologie, Scienze farmaceutiche applicate, Chimica e tecnologie farmaceutiche e Farmacia. Gli studenti si sono trovati davanti a un quiz completamente diverso da quello che si aspettavano: meno domande, materie diverse e parti addirittura mancanti. “La prova che ci è stata data dalla commissione era completamente differente rispetto a quanto specificato nel bando – segnala uno studente – invece di 75 domande ce n’erano 50: non era presente la parte di comprensione del testo e le domande di fisica, chimica e biologia erano cinque in meno”. Così l’università è corsa ai ripari: tutti dentro anche se i posti disponibili per la prova unica erano 1000. “L’ateneo fiorentino – si spiega in una nota – avendo rilevato una difformità tra le indicazioni del bando per l’ammissione e i quesiti proposti durante la prova, ha stabilito di ammettere tutti i candidati presenti al corso di laurea per il quale avevano fatto domanda. La decisione, volta a garantire ai partecipanti pari condizioni, a eliminare potenziali conseguenze negative derivanti dalla difformità riscontrata e a permettere il regolare avvio dell’attività didattica, è stata comunicata dall’Università di Firenze ai singoli studenti presenti alla selezione”.
Di chi è la responsabilità? Di una mail “non recepita dai nostri uffici”, dichiara il rettore Luigi Dei. Infatti ad aprile il Cisia (Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l’accesso) aveva comunicato una variazione nella prova rispetto a quella dell’anno precedente. “Per una svista, quindi, abbiamo pubblicato il bando con i criteri dell’anno scorso – spiega Dei – Ci siamo trovati a decidere cosa fare e dare a tutti la possibilità di entrare ci è sembrato il modo migliore per tutelare il diritto agli studenti di iniziare in tempo le lezioni. Rifare la prova avrebbe significato rimetterci in contatto con il Cisia e aspettare almeno un mese”. Gli studenti hanno colto la palla al balzo: “Chiediamo al rettore che venga aperto un tavolo per ridiscutere il numero chiuso – afferma in una nota Hamilton Dollaku di Udu (Unione degli universitari) – se per un errore formale l’ateneo ha deciso di aprire i corsi dimostrando di poter sostenere sia il numero di studenti sia la qualità della didattica, perché non si può fare lo stesso anche per altri corsi a numero programmato?”.
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