Lo stop dei ricercatori dell'Alma Mater

Alma mater in subbuglio. Si apre l’anno accademico 2010/2011 all’insegna della riaffermazione del”No pasaran” dei ricercatori inclini a perseguire “l’arma bianca” del blocco della didattica.

Alma mater in subbuglio. Si apre l’anno accademico 2010/2011 all’insegna della riaffermazione del”No pasaran” dei ricercatori inclini a perseguire “l’arma bianca” del blocco della didattica, se il decreto Gelmini sull’istruzione non apporterà delle modifiche alla condizione del ricercatore così come è attualmente delineata.
I presidi dell’Università di Bologna hanno inviato una lettera- comunicazione scritta ai ricercatori per valutare la loro presenza in veste di docent,i nei corsi accademici che stanno per iniziare. Alla facoltà di lettere, alla luce di una serrata assemblea, il 70% dei ricercatori (in tutto 98) ribadisce la volontà di non assumere incarichi didattici, se non ci saranno variazioni positive sul loro status.
La “minaccia” da parte degli organi costituenti è quella di assumere docenti a contratto “in supplenza” della loro “vacanza”. Tuttavia in attesa delle assemblee che si susseguiranno nei prossimi giorni nelle varie facoltà, il rettore Ivano Dionigi tende a mitigare la situazione.  In una lettera rivolta direttamente ai ricercatori (1.249 quelli dell’ateneo)  riafferma “la disponibilità mia personale e del Senato accademico alla ricerca di soluzioni possibilmente condivise, che contemperino le ragioni dei ricercatori con il rispetto dei nostri obblighi verso la società e gli studenti”.
Sottolinea la volontà di convocare la prossima settimana il Senato accademico, il quale “deve ancora analizzare gli scenari e decidere quali soluzioni conseguenti adottare”. Il rettore tiene a sottolineare che la lettera dei presidi (votata ieri all’unanimità dal Senato accademico) non deve essere interpretata come un ultimatum: Daniele Bigi, ricercatore di Agraria da 15 ann, sostiene che la comunicazione dei presidi ha rinfocolato gli animi e irrigidito le posizioni.
Nella sua facoltà a luglio si erano espressi per il blocco della didattica 60 colleghi su 76. “Credo che i numeri resteranno quelli, se non di più”. Più netto il commento di Federico Condello, da cinque anni ricercatore a lettere e rappresentante della categoria: “Non ci sentiamo minimamente in grado di accettare l’ultimatum, e crediamo che saremmo degli irresponsabili a prendere una decisione così importante in due giorni. La nostra è una sveglia che lanciamo, attraverso l’Università, al legislatore che è il nostro interlocutore. Vogliamo capire quanta importanza il legislatore vuole dare alla ricerca e al nostro ruolo”.
Il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, auspica un indietreggiamento dell’università di Bologna, declinando il blocco della didattica dei ricercatori non mediante una pura sostituzione con docenti a contratto: “La decisione è grave perché – vanificare la giusta rivendicazione dei ricercatori a tempo indeterminato di non essere messi nel limbo del dimenticatoio e dei precari che vedono davanti a sé anni di ulteriore lungo periodo di precariato senza alcuna certezza in termini di stabilizzazione.
Per queste ragioni la Flc-Cgil sostiene le mobilitazioni dei ricercatori ritenendole centrali per riaprire una discussione pubblica sui tagli al fondo ordinario e sul ruolo dell’Università e contrastare le politiche scellerate del Governo”. La Flc invita quindi il Rettore e il Senato accademico a revocare la decisione proposta. Una decisione “che riteniamo di dubbia legittimità anche perché i ricercatori per legge non sono tenuti a fare didattica” continua Pantaleo.
La manifestazione dell’ateneo bolognese è solo una delle molteplici voci collettive (e singole) che da aprile scorso si elevano dal panorama universitario nostrano in cerca di una risposta e di un riconoscimento del loro doppio ruolo di ricercatori e di docenti.

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