L’Italia non è un paese di Matematica, carenza di docenti è ormai emergenza cronica

Nove su dieci bocciati allo scritto per il concorso. E chi ce la fa sceglie altre professioni. “Pochi i laureati formati per insegnare”

L’Italia è riuscita a diventare ostile alle scienze e alla matematica, “e questo quando è chiaro a tutti che la materia è decisiva per il futuro del pianeta”, afferma intervistata da Repubblica la professoressa Maria Mellone, docente all’Università Federico II di Napoli, presidente della commissione italiana per l’insegnamento della disciplina dell’Unione matematica italiana.

Emergenza STEM

I numeri sono sotto gli occhi di tutti e sanno di emergenza ormai cronica. La percentuale di giovani tra i 16 e i 19 anni con competenze digitali base o superiori è il 64 per cento del totale. E non è un buon risultato: siamo penultimi in Europa, davanti a Romania e Bulgaria. E siamo penultimi nelle competenze digitali sulla “soluzione dei problemi”. La questione, come si vede, è anche e purtroppo giovanile. E si riversa, come un fiume nel mare, sulla preparazione dei futuri insegnanti: all’ultimo concorso per docenti Stem (le discipline dure della scienza) il 90 per cento dei candidati non ha superato lo scritto.

“Da vent’anni non esiste un percorso di formazione di scuola secondaria e questo determina l’abbassamento del livello dell’insegnamento matematico”, dice la professoressa Mellone. “Dobbiamo occuparci del reclutamento, oggi fumoso, valorizzare i docenti in servizio e il loro salario. È una catena, e si è spezzata da vent’anni. Il decreto del governo Draghi sulla formazione è sospeso. Tra gli studenti è rimasta intatta la voglia di insegnare, ma sono spaventati dalle prospettive. Oggi un laureato in Fisica e Matematica, i due corsi che portano all’insegnamento, dovrebbe conoscere una specializzazione parallela sulla Didattica delle discipline: cosa significa insegnare quel contenuto. E poi, una volta in cattedra, scegliere un metodo. Problem solving, laboratori, lavori di gruppo, aiuti tecnologici, educazione all’aperto. Ogni insegnante deve scoprire il suo e superare la didattica frontale che non appassiona i ragazzi. Non esiste un’inattitudine italiana alla materia, tutti abbiamo competenze innate: dobbiamo connetterle con la scuola”.

STEM devono parlare anche al femminile

“Tante volte mi chiedono se alle ragazze la scienza piaccia o non piaccia – spiega Elisa Palazzi a Corriereuniv.it, climatologa, divulgatrice e docente di fisica del clima all’Università degli Studi di Torino– La domanda di per sé mi pare frutto di retaggi antichi, ma la risposta arriva direttamente dai dati: di una ricerca realizzata da Ipsos e diffusa nel 2022 in occasione della Giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza, che si celebra l’11 febbraio. Secondo questo studio le materie Stem incuriosiscono il 54% delle studentesse, ma resta la tendenza da parte delle ragazze a considerare le materie tecnico-scientifiche “poco adatte” a loro, a indicare che molti pregiudizi e stereotipi di genere hanno ancora un forte peso. E infatti fonti Miur per l’anno accademico 2020/21 indicano che su 100 studentesse italiane inscritte all’università, solo 21 hanno scelto corsi di laurea Stem. Le ragazze dunque sono sicuramente incuriosite dalla scienza ma non necessariamente scelgono quella strada”.

“Che sia una ragazza o un ragazzo, se c’è la passione, se la scienza ha mosso qualcosa in loro, allora non ci sono particolari differenze nell’avvicinamento – continua la docente -. Il problema può arrivare dopo che ci si sono avvicinate: per decenni la nostra società ha fatto credere che essere scienziati fosse una roba da uomini e che le ragazze dovessero occuparsi di materie diverse. E anche se questo tipo di pensiero oggi è presente in modo meno eclatante che in passato – pur restando in forma più sottile, celata e per questo spesso anche più subdola e più difficile da eliminare – l’idea di non essere all’altezza può arrivare alla mente di una ragazza e diventare pesante, trasformandosi in mancanza di fiducia in se stessa, e rinuncia”.

Problema colturale

Scuola, famiglia, divulgatori, musei e comunicazione, oltre all’incontro e confronto con i protagonisti della ricerca: per estirpare – finalmente – posizioni stantie e oramai fuori tempo massimo, serve davvero un lavoro congiunto, con un approccio nuovo, contemporaneo e sistemico capace di proporre la scienza in tutta la sua inclusività. “Credo che vadano coinvolti tutti i livelli – aggiunge Palazzi -. Sono sicura che i genitori giochino un ruolo importante attraverso le loro ideologie o le loro aspettative, nell’incoraggiare o scoraggiare il percorso delle proprie figlie nelle discipline Stem. I genitori inoltre possono avere la tendenza ad educare i figli in maniera diversa, se femmine o maschi, enfatizzando gli stereotipi. Anche la scuola deve avere un ruolo importante nell’evitare che il divario di genere si fossilizzi fin dai primi cicli di istruzione. Il mondo dei mass media può portare un contributo al superamento degli stereotipi interpellando un maggior numero di esperte donne. Infine il mondo accademico e scientifico può e deve fare molto, sia a livello di scelte individuali, ad esempio cominciando a manifestare il proprio dissenso davanti a particolari occasioni che non garantiscono parità di genere, come rifiutarsi di andare convegni/panel in cui la maggioranza dei relatori sia uomo – in alcuni casi è eclatante, che a più alto livello, ad esempio nella rappresentatività nelle commissioni di valutazione per alte cariche”.

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