L’Europa premia i ricercatori italiani ma non l’Italia

Dei 397 finanziamenti assegnati, infatti, ai ricercatori italiani ne vanno ben 58, dietro i tedeschi (67) ma davanti ai francesi (44). Il Regno unito si conferma primo per attrazione di ricercatori.

Anche quest’anno lo Starting grant dello European Research Council (Erc), il programma finanziato nell’ambito di Horizon Europe che eroga sovvenzioni a ricercatori di alto livello, ha premiato i ricercatori italiani con il 15% del totale dei colleghi europei, ma solo il 7% di questi fondi verrà speso in ricerca in Italia.

I risultati del bando Erc starting grant 2021 ci dicono che i giovani ricercatori italiani sono molto bravi, tanto da essere il secondo gruppo nazionale per borse vinte dopo i tedeschi ma che lavorano soprattutto all’estero (fermo restando che la Germania ha vinto quasi tre volte proggi di ricerca rispetto l’Italia nel proprio Pese). Dei 397 finanziamenti assegnati, infatti, ai ricercatori italiani ne vanno ben 58, dietro i tedeschi (67) ma davanti ai francesi (44). Mentre il Regno Unito si conferma il terzo Paese, dopo Germania e Francia, dove si fa più ricerca in Europa ma il primo per attrazione di fondi e ricercatori fuori dai propri confini (i ricercatori inglese in patria sono poco meno di 1/5 sul totale dei fondi spesi).

La fotografia cambia però se si analizzano i dati delle istituzioni che ospitano i ricercatori che hanno vinto i grants. In questo caso infatti, l’Italia scende al quinto posto con 28 progetti vincitori, ben distante dalla Germania (72 progetti), dalla Francia (53 progetti) e dal Regno Unito (46 progetti). 

Università e poli dei ricercatori premiati

I 28 progetti Erc ospitati in Italia, sono distribuiti complessivamente tra 17 università e centri di ricerca. A guidare la classifica dei poli con il maggior numero di grants assegnati (4) c’è l’Università degli studi di Padova seguita da quella di Milano (3 grants). Con due grants a testa ci sono poi: l’Università di Bologna, l’Università di Pavia, la Sapienza di Roma, Università di Firenze, la Ca’ Foscari di Venezia e la Bocconi. E infine le altre (la Normale di Pisa, la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, la Fondazione Human Technopole, la Federico II di Napoli, la Humanitas University, il Politecnico di Bari, l’Università degli Studi di Perugia, l’Università di Genova e l’Università di Modena e Reggio Emilia).

Interessante infine il dato sul genere. Sempre di più donne premiate nella ricerca, quest’anno, infatti, sono state soprattutto le ricercatrici a cui si devono 15 dei 28 grants complessivi. Un dato migliore di quello generale, che vede solo il 43% dei grants assegnati alle donne.

Il problema dei “cervelli in fuga”

I dati sono espressione del fenomeno complesso della fuga di cervelli, che in Italia è cresicuto del 41,8% negli ultimi dieci anni. Ciò è riconducibile sia alle difficoltà sistematiche dientrare nel mondo del lavoro che alla poca valorizzazione dei titoli di studio di alto livello, come laurea e dottorato, che non offrono molte più opportunità di lavoro rispetto a livello più bassi di istruzione, oppure, quando ciò avviene, la remunerazione non si distanzia in modo determinante per la maggior parte delle occupazioni.

Gli incentivi per i cosidetti “cervelli di ritorno” sono pochi e riguardano per lo più laureati che hanno svolto attività di ricerca all’estero, manager specializzati o studenti italiani che hanno conseguito il titolo di studio all’estero. Pochi gli investimenti per trattenere le mente che vorrebbero partire e ancora non se ne sono andate. Manca un approccio di sistema al problema, che tenga in considerazione l’onere di una cultura lavorativa che non reputa la ricerca una priorità e che non premia idee innovative di sviluppo nel lungo periodo.

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