La prima canna? In Italia si fuma a 13 anni. L’allarme dei medici: “Ripercussioni sull’apprendimento scolastico”

I dati dell’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction fotografano come 66.000 giovani (il 4,4% della popolazione italiana in questa fascia d’età) abbiano fatto uso di cannabis già durante gli anni della scuola media. “Uno su tre sviluppa una sindrome demotivazionale che è caratterizzata da abulia, perdita degli interessi scolastici, amicali, affettivi, sportivi, irritabilità e violenza”.

La prima canna? A 13 anni. È il dato allarmante sul consumo di cannabis diffuso dall’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA) che stima che nel 2020 il 27,2% della popolazione ha fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita e che il 15,4% di chi ha tra i 15 e i 34 anni (circa 1,85 milioni di italiani) ne abbia fatto uso nell’arco dell’ultimo anno. In questo contesto l’Italia detiene il primato (insieme alla Francia) di casi di ragazzi che hanno fumato cannabis per la prima volta a 13 anni, o prima. Si tratta di circa 66.000 giovani, il 4,4% della popolazione italiana in questa fascia d’età.

“Ci troviamo di fronte a un crescente utilizzo di questo tipo di droghe da parte di giovani consumatori. Sono droghe considerate erroneamente ‘leggere’ ma che invece danno dei danni gravissimi anche perché quasi sempre l’uso, da occasionale, diventa continuativo” ha sottolineato Stefano De Lillo, vice presidente dell’Ordine dei medici di Roma. Spesso in Italia l’età media di inizio assunzione si colloca, infatti, nella fascia di età della scuola media, cioè tra gli 11 ed i 14 anni.

“È una situazione preoccupante – continua De Lillo – e per questo abbiamo deciso di promuovere, presso l’Omceo, un Gruppo di lavoro scientifico dedicato alla prevenzione, alla valutazione e alla divulgazione delle conseguenze dell’uso della cannabis sulla salute mentale dei giovani. I dati della letteratura mostrano come il 10% dei consumatori abituali di cannabis sviluppino un disturbo schizofrenico, quindi una psicosi reale – evidenzia il vice presidente Omceo e coordinatore del Gruppo di lavoro – e il 30% sviluppi una sindrome demotivazionale che è caratterizzata da abulia, perdita degli interessi scolastici, amicali, affettivi, sportivi, irritabilità e violenza. Per questo abbiamo ritenuto fondamentale portare il problema all’attenzione dei medici e dei pediatri che spesso si trovano di fronte a dei quadri clinici di difficile interpretazione”.

Obiettivo del Gruppo di lavoro è poi quello di promuovere un’azione di informazione e divulgazione presso le famiglie, le scuole, i centri di aggregazione, gli oratori e le palestre. E per parlare direttamente ai ragazzi in un linguaggio che sia per loro comprensibile e d’impatto, si punterà anche a coinvolgere testimonial o influencer giovani “sia per portare avanti un’ educazione tra pari- conclude De Leillo- sia per raccontare direttamente storie che diano ai ragazzi messaggi positivi attraverso le parole dei propri coetanei”.

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