La lettera al presidente Letta da un ricercatore: “Cambiare rotta, o saremo costretti a chiudere i laboratori”

Lettera al presidente Letta

“Presidente Letta, cambi rotta, o saremo costretti a chiudere i laboratori”: è questo il messaggio della lettera indirizzata al primo ministro italiano. A scrivere è un professore associato di genetica del dipartimento di Biologia e Biotecnologia della Sapienza di Roma. Nella lettera, che pubblichiamo di seguito nella sua versione integrale, viene descritta la realtà della ricerca italiana, con un appello quasi disperato da parte del mondo dei giovani ricercatori. Serve cambiare rotta, basta tagli alla cultura e alle università.

“Gentile presidente Letta, nel 1848 Victor Hugo sosteneva che la crisi si combatte raddoppiando i fondi alla cultura e non tagliandoli. Una verità sconosciuta a buona parte dei nostri governi che da sempre identificano proprio nella cultura, nella sua svariate espressioni, la vittima sacrificale.

Nel 2007 centinaia di ricercatori italiani inviarono un appello agli aspiranti segretari del neo-Pd, chiedendo attenzione e programmazione per università e ricerca. All’appello lei rispose con prontezza ed entusiasmo definendolo un «grido di allarme lanciato da una parte importante del mondo della ricerca italiana». Lei affermava inoltre che «la ricerca è la fonte dello sviluppo economico e sociale di un paese. Non si tratta di un luogo comune: senza ricerca non c’è futuro per le economie avanzate» e che «difendere e rilanciare la ricerca in Italia significa preparare il terreno per un futuro migliore, per noi stessi e per i nostri figli».

Sono passati sei anni e quel grido si è trasformato nel flebile rantolo di chi sta per esalare l’ultimo respiro. Al contrario dei suoi migliori auspici università e ricerca sono state sempre più figlie di un dio minore, martoriate dal governo Berlusconi e anche dall’effimero governo Monti. Infatti, alle conseguenze devastanti della drastica riduzione degli Ffo per gli Atenei si sono sommati i tagli ai fondi pubblici per la ricerca che ormai hanno toccato il fondo, mi perdoni il calembour.

Il governo Monti ha avuto il coraggio di destinare solo 38 milioni di euro al bando dei Progetti di ricerca di Interesse nazionale (Prin) 2012. Un’elemosina rispetto ai 105 Milioni del 2009 e soprattutto ai 137 milioni del 2003. Ma non finisce qui. Secondo alcune voci ritenute attendibili, il suo governo, invece di porre rimedio a questo scempio, avrebbe addirittura cancellato il bando Prin 2013. Se fosse vero, si tratterebbe dell’ennesimo grave gesto di disprezzo verso migliaia di ricercatori, su cui la invito a riflettere.

Nel 2007, lei si augurava la nascita dell’Anvur, a suo tempo pensata da Fabio Mussi e Luciano Modica. Oggi  abbiamo sotto gli occhi i risultati dell’Anvur in versione Gelmini & co: un sistema bibliometrico automatico, sia per le abilitazioni scientifiche nazionali che per la recente VQR 2004-2010, che fa un uso improprio e aberrante della valutazione. Un sistema che non è rappresentativo dell’attività dei singoli e delle strutture di ricerca, perché tende a premiare la quantità a scapito della qualità e che in virtù di questo sta producendo giudizi falsati. Un sistema che favorisce soprattutto grossi gruppi di potere politico-accademico e che all’estero, nei paesi dove l’etica della valutazione è il classico fiore all’occhiello, appare inattendibile, se non risibile.

Caro presidente, sono questi i risultati che lei si augurava quando rispose al nostro “grido di allarme”? Crede ancora che la ricerca sia «la fonte dello sviluppo economico e sociale di un paese»? In caso affermativo, quali provvedimenti con ricadute positive, a breve termine e non nel 2023 (come recitava la famosa canzone di Dalida), pensa di attuare il suo governo per rimediare a questo scempio?

Servono programmazione e finanziamenti congrui per incentivare la ricerca e per sbloccare il turnover negli atenei e nei centri di ricerca, allo scopo di ripristinare subito un livello fisiologico di reclutamento e progressione delle carriere. In assenza di ciò, negli atenei e nei centri di ricerca da anni viviamo alla giornata e malgrado tutto, la nostra produttività a livello internazionale è stata notevole. Ora, però, si è superato il limite e in mancanza di misure urgenti non ci resterà che chiudere i laboratori, con ulteriori e gravi conseguenze sulla didattica universitaria.

Per rilanciare università e ricerca non servono miracoli. Basterebbe ridurre i costi della politica, fare un prelievo sulle numerose pensioni d’oro o sulle liquidazioni dei manager fallimentari, oppure si potrebbero tagliare solo 6 dei 90 aerei militari F35 (circa 600 milioni di euro) che il nostro paese si è impegnato ad acquistare. Ma anche i migliori interventi servirebbero a poco se per identificare il merito e assegnare le risorse si continuassero ad usare i criteri nostrani dell’Anvur. È quindi necessario revisionare l’Anvur, per arrivare ad una valutazione seria e non casereccia di ricercatori e ricerca, che sia in linea con i metodi riconosciuti a livello internazionale, basata su qualità, etica e responsabilità.

Caro presidente, se, al contrario, anche lei nel frattempo si è convinto che università e ricerca pubbliche in Italia sono inutili optional, grazie alle strenue campagne denigratorie portate avanti negli ultimi anni dai neoliberisti “bocconiani di ferro”, allora la prego di avere almeno la sincerità e il coraggio di affermarlo pubblicamente.

Se la classe politica e dirigente del nostro paese continuerà a sbandierare proclami ad effetto, programmi e agende virtuali, rimanendo in realtà sorda ai veri bisogni di istruzione e ricerca, se università e ricerca pubbliche verranno fatte morire, la decadenza del paese sarà irreversibile e la melma del sottosviluppo morale, culturale e economico ci sommergerà definitamente.

Questa lettera rappresenta l’ultimo gesto che sento il dovere di compiere per non rimanere in silenzio davanti ad un disastro annunciato, prima di chiudere baracca e burattini, costretto ad abbandonare per strada giovani di talento che meritano altre possibilità ed un futuro migliore di questo terrificante presente”.

 

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