Solo l’1% dei dottorandi riesce a lavorare dopo il periodo di ricerca. Tutti gli altri avranno semplicemente allungato, di tre o cinque anni, la loro permanenza all’Università ritardando così l’ingresso nel mondo del lavoro.
Il risultato? L’Italia è all’ultimo posto in Europa per numero di dottorandi (1 ogni 1000 abitanti), superata persino dalla Polonia e dall’Islanda.
Ma a far scivolare in coda alla classifica il nostro Paese, è anche il guadagno netto di un ricercatore: appena 1005 euro al mese, denaro che spesso non basta neanche a pagare spostamenti, convegni e conferenze ai quali un dottorando deve necessariamente partecipare.
C’è poi la questione “accesso” ai posti banditi con regolare concorso.
Molti studenti denunciano irregolarità, scasa trasparenza e totale trascuratezza dei principi minimi di meritocrazia.
Realtà inquietanti che stanno producendo una prima pericolosa tendenza: negli ultimi anni i dipartimenti si trovano con offerte di dottorato con o senza borsa di studio, alle quali non fa riscontro la domanda da parte dei laureati, scoraggiati dalla grande incognita del post ricerca.
Sono numeri e dati allarmanti quelli raccolti dal corriere dell’Università Job che dedica l’inchiesta di maggio alla difficile vita dei dottorandi.
“Pensiero Stipendio” il titolo della copertina del mensile in edicola venerdì prossimo a Roma e a Napoli, ed il 7 maggio prossimo a Milano.