Impariamo ad accogliere le differenze

Il bullismo è un fenomeno molto diffuso, urge una presa di coscienza. Notizie di violenza e prevaricazione sono all’ordine del giorno. Ultima, tra le tante, la denuncia di Roberto, lo studente vittima del blitz omofobo all’Università Bocconi che ha denunciato l’indifferenza degli altri universitari e invitato a non tacere come scritto in una lettera: “È giusto e importante che gli studenti e i cittadini si sentano liberi di denunciare gli atti di violenza omofobica con la sicurezza di avere il supporto e l’appoggio delle istituzioni”.

Oggi, 17 maggio, si celebra la giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia. Parliamo di questi temi con Paolo Valerio(in foto), ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università di Napoli Federico II e responsabile della piattaforma contro il bullismo omofobico promossa dall’ateneo partenopeo .

“Le parole di Roberto sono espressione di importanti questioni relative alla denuncia delle aggressioni di matrice omofobica. Innanzitutto voglio ricordare che in Italia non esiste alcuna legge che riconosca un’aggravante specifica per i reati commessi in odio a persone omosessuali, bisessuali e transgender. Di conseguenza è estremamente difficile che all’atto della denuncia la vittima di violenza dichiari la matrice omofobica del gesto patito, sia perché ciò non costituirebbe una aggravante, sia in virtù di una forte omofobia interiorizzata che porta ad una vera e propria autocensura. La medesima autocensura fa sì che moltissimi casi di violenza omofobica rimangano in un ambito di estrema riservatezza che non le rende pubbliche e rilevabili. Se già negli episodi di violenza, penso in questo momento alle violenze sulle donne, la vittima ha difficoltà a rivolgersi alle Forze dell’Ordine per chiedere aiuto, chiedere aiuto perché si è vittima di una violenza omofobica equivale a richiamare l’attenzione sulla propria sessualità e sulla propria vita affettiva, con i relativi vissuti di ansia, vergogna e timore del ripresentarsi del trauma. Tra l’altro, a volte le stesse forze dell’ordine possono avere pregiudizi omofobici da cui derivano svariate conseguenze. Per cui la scarsa percezione di tutela e l’omofobia interiorizzata determinano che la stragrande maggioranza dei casi di violenza omofobica non vengano nemmeno denunciati.
È ovviamente, pare scontato dirlo, importante denunciare qualunque tipo di violenza non solo per un sentimento di giustizia e per la rivendicazione dei propri diritti ma anche e soprattutto per il valore simbolico della denuncia. Ogni denuncia può dare ad un’altra vittima di un’altra violenza forza e coraggio per denunciare a sua volta l’aggressione subita. È però necessario, da parte delle istituzioni, un grosso lavoro di formazione e sensibilizzazione su questi temi; lavoro che non va diretto solo alle “vittime” ma soprattutto ai professionisti che per primi intercettano queste forme di violenza. È in questa direzione che lavoreremo attraverso il Progetto Hermes; con la Dott.ssa Anna Lisa Amodeo, coordinatrice del progetto e con l’aiuto dell’Europa che, nell’ambito del Programma Daphne III, ha concesso un finanziamento che ammonta a € 490.000, nei prossimi due anni lavoreremo sulla prevenzione e formazione su questi temi. Università, Associazioni ed Istituti di ricerca nazionali e internazionali lavoreranno insieme per un obiettivo comune: stringere la maglia protettiva per le vittime di queste forme di discriminazione. Nel corso dei due anni, a Napoli, Madrid e Dublino, medici, forze dell’ordine, avvocati, insegnanti saranno formati su come riconoscere, prevenire e contrastare le discriminazioni verso le donne e la popolazione LGBT”.

Prof. Valerio, qual è il suo messaggio ai giovani nella giornata mondiale contro l’omofobia?
“Innanzitutto vorrei soffermarmi sulla parola omofobia. Oggi più che mai si parla di omofobia, ma che significa essere omofobi e vivere in una società omofoba? Nel farlo voglio utilizzare le parole del collega Pietrantoni: Quando un adolescente afferma «basta che i froci mi stiano alla larga», o quando un adulto, dopo uno spontaneo gesto intimo a una persona dello stesso sesso, si affretta a dire «non pensate male, non sono mica un finocchio», o ancora quando un ragazzo gay pensa «non sono un bell’esempio per gli altri», ecco, questi gesti hanno un nome preciso: omofobia. L’omofobia la possiamo praticare, ignorare, tollerare e contrastare. Non chiamarla omofobia è di per sé espressione di omofobia. Nello specifico omofobia si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. Cosa vorrei dire ai giovani in occasione della giornata sull’omofobia. Forse questo: il lavoro a cui tutti siamo chiamati a rispondere è quello dell’accoglienza delle differenze. Per dare sostanza a quello che può sembrare uno spot voglio ricordare una bellissima serie televisiva, Queer as Folk. Nell’ultimo episodio dell’ultima serie, successivamente ad un attacco bomba al Babylon, famosa discoteca GLBT, Michael riceve la proposta di rappresentare il Comitato per i Diritti Umani e nel corso di una conferenza stampa fa un discorso molto toccante «Ho un compagno, due bellissimi figli, una casa, una piccola impresa la verità è che sono come voi […] In realtà questo non è vero, certo voglio le stesse cose che volete voi, essere felice, vivere in sicurezza, mettere qualche soldo da parte… ma in altri aspetti la mia vita non è come la vostra, poi perché dovrebbe?! Dobbiamo vivere allo stesso modo per avere gli stessi diritti? Io pensavo che questo paese fosse fondato sulle differenze. […] Mia madre che è in piedi in fondo alla sala con i miei amici una volta mi ha detto che le persone sono come i fiocchi di neve ognuno è speciale ed unico, ma essere diversi è ciò che ci rende tutti uguali”.

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