Il valore della laurea, questione di legalità

laurea.jpgSe ne parla da anni. E la priorità si rimodula in base al colore del governo in carica. Ma questa volta il consenso è più spiccatamente bipartisan. Così il tema dell’abolizione del valore legale della laurea potrebbe finire in parlamento e dare un volto completamente nuovo al nostro sistema universitario. Anzi, non è più questione di condizionale ormai. Di valore legale si discuterà in aula non appena arriverà il momento della seconda tranche della riforma Gelmini.
Lo scorso 8 gennaio, infatti, al momento della fiducia al decreto sull’università, tra gli 87 ordini del giorno discussi, c’era anche quello presentato dall’onorevole Paolo Grimoldi della Lega, con la proposta di abolire il valore legale della laurea. Ordine approvato che quindi impegnerà le camere a discuterne.
Nel governo Berlusconi tra i primi fautori di questo cambiamento per le università italiane c’è il ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, che per arginare il proliferare delle cattedre nelle università e ottimizzare la gestione delle risorse pensa ad una proposta di legge per l’abolizione del valore legale del titolo. Secondo il ministro l’azzeramento del titolo di laurea comporterebbe una concorrenza virtuosa degli atenei. E della stessa idea è anche il ministro ombra del Pd Linda Lanzillotta.
Ma se Brunetta ne ha iniziato a parlare qualche tempo fa, c’è chi rivendica una paternità decennale della proposta. “Fa parte del nostro dna, è una battaglia che portiamo avanti dal ’94 – ci spiega Beatrice Lorenzin, deputata Pdl e fino allo scorso anno coordinatore nazionale di Forza Italia Giovani -. Il fatto è che si tratta di una causa che deve ancora essere capita dalla gran parte della gente”. È una questione di tempo, insomma, quello necessario per far conoscere meglio l’argomento. “Certo non si tratta di una priorità del governo – continua la Lorenzin – però per noi è una causa insita nel nostro essere. È esattamente l’opposto della massificazione della cultura o del 6 politico, per intenderci. Un principio del genere è il coronamento del riconoscimento del merito”. Ma se sarà questa legislatura che riuscirà a portare a termine la battaglia è difficile dirlo. “Non lo so – afferma l’onorevole – so che non si farà in un batter d’ali, ma posso confermare che alla Camera c’è tutta l’intenzione di procedere in tal senso. E un certo consenso si respira anche nell’opposizione, soprattutto nell’ala più riformista e tra i più giovani”.
A favore dell’abolizione del valore legale del titolo, al fianco di Lega e Pdl, anche il partito Radicale si batte da anni per la causa. “Credo che questo sia un buon inizio per una riforma del sistema universitario basato sul merito, sulla qualità dell’insegnamento e sulla qualità della ricerca”, è stato il commento della deputata radicale del Pd Maria Antonietta Farina Coscioni, all’indomani dell’approvazione dell’ordine del giorno.
Il fronte del no però resiste e non perde tempo per rivendicare le proprie ragioni. In prima fila c’è l’Andu, associazione nazionale dei docenti universitari. Ogni qualvolta l’argomento risale oltre la soglia media di attenzione, loro pazientemente tornano a spiegare le ragioni del no, del perché il valore legale è una di quelle cose del sistema universitario italiano che va difeso con i denti. Uno degli ultimi scritti al riguardo è stato quello di Paolo Gianni, docente dell’Università di Pisa che ribadisce il significato del valore legale del titolo per la partecipazione ai concorsi. “Pretendere il possesso della laurea per accedere ad una qualunque posizione qualificata indipendentemente dall’ateneo che l’ha rilasciata – spiega il docente – non significa affatto mettere tutte le università sullo stesso piano. Significa solamente stabilire che il titolo richiesto costituisce il ‘requisito minimo’ per accedere a una certa posizione, senza per questo dare garanzia alcuna di accesso a tale posizione. Sarà soltanto il concorso di accesso che, attraverso il giudizio di una Commissione a ciò preposta, stabilisce quale è il candidato migliore per ricoprire quel posto. E tale giudizio correttamente non privilegerà aprioristicamente alcun ateneo, limitandosi al giudizio sui singoli”. Gianni prosegue in una disquisizione sui pro e i contro del valore legale e continua: “Qualcuno potrebbe obiettare che anche senza pretendere il requisito della laurea si potrebbe ottenere lo stesso risultato – spiega – è verissimo. In effetti se il comportamento di chi giudica fosse sempre dettato soltanto dall’etica, il migliore vincerebbe comunque. Ma ammettiamo per un momento che alla laurea non sia associato neppure il valore legale come sopra individuato. Ciò significherebbe che per l’accesso a posizioni qualificate nella Pubblica amministrazione ci si affiderebbe alla sola selezione concorsuale. In un paese ideale non ci sarebbero problemi (…)”.
Ma se l’Italia sarà pronta ad una simile novità lo si vedrà nelle prossime puntate. Pardon, sedute.

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