Ecco come scegliere un Master

prima4.jpgQuali sono i corsi migliori, quelli di cui fidarsi e quelli da evitare, cosa significa master e perché oggi va tanto di moda. Tutto questo e moltissime altre informazioni nella Guida ai Master de “Il Corriere dell’Università e del Lavoro” già in edicola.
Ecco qualche anticipazione di quello che troverete nelle pagine della Guida: le istruzioni per l’uso indispensabili prima di entrare nell’intricato mondo dei master.
Che fare quando ci si accorge che una laurea non basta più? La risposta è una sola: continuare a studiare, scegliendo un master di primo (per laureati triennali) o secondo livello (per laureati magistrali). Diventa un passaggio obbligato quando sembra che tutti intorno abbiano trovato lavoro, tranne tu. In fondo è un po’ come se si ricominciasse daccapo. E la cosa, a tratti, può anche essere avvilente. Ma è la giungla del lavoro ad imporlo.
Stime incoraggianti
Le ultime novità in fatto di master sono tutt’altro che scoraggianti. Dalle ultime stime elaborate dal Censis (Centro studi investimenti sociali) esce fuori che il rapporto qualità/prezzo è più che buono. Di soldi insomma, se ne spendono, ma il grado di soddisfazione, non lascia a desiderare. C’è un rapporto di proporzionalità diretta tra i costi di iscrizione e la gamma di servizi offerti. I migliori, in termini di performance, soprattutto sul versante della didattica, sono quelli compresi tra 5.400 e 10mila euro, ancora meglio poi, se superano quest’ultima soglia.
Altro dato confortante è quello sulle opportunità lavorative, con il 63% di chi ha partecipato ad un master che dichiara di averne tratto vantaggio. Di questi, il 71% dice di aver trovato occupazione subito dopo, mentre il 29%, già occupato, ha migliorato il livello di retribuzione, posizione contrattuale e professionale. Eppure, ad uno sguardo più generale, l’Italia continua a rimanere indietro, almeno se confrontata alle altre realtà europee. La questione riguarda in particolare, l’incapacità del nostro Paese di assicurare ai giovani una reale coincidenza tra gli studi svolti all’università e l’occupazione trovata. Ma al di là dei dati assemblati dal Centro studi, c’è da fare il punto su tutta una serie di tendenze, che un po’ alla volta stanno cambiando la fisionomia dei master, primo fra tutti l’internazionalizzazione.
L’internazionalizzazione indispensabile
Non sono solo gli Mba (Master in Business Administration) a richiederlo. Di questi tempi per poter competere al meglio con i concorrenti americani, e soprattutto indiani e cinesi (di gran lunga i più ‘temibili’), è necessario che il grado di conoscenza delle lingue, specie dell’inglese, non si mantenga ad un livello ‘scolastico’. Viaggiare può essere un buon modo per incominciare a familiarizzare con altri idiomi. Una ‘capatina’ all’estero però, potrebbe non essere sufficiente per padroneggiare una certa lingua sul luogo di lavoro, dove i tecnicismi abbondano e le ‘parole del mestiere’ devono risultare così immediate, da masticarle con la stessa facilità con cui si parla in italiano. Per questo motivo, sempre più master oggi si stanno muovendo verso il reclutamento di docenti di fama mondiale unitamente al bisogno di svolgere le lezioni in lingua inglese.
L’obiettivo è di preparare gli iscritti alle sfide che li attenderanno una volta usciti dall’aula. Gli stage ad esempio, potranno svolgersi tanto in Italia che all’estero. C’è poi da considerare che gli organizzatori cercano di attirare più che possono i talenti provenienti dagli USA, così come dal lontano Sud-est asiatico. Riuscire nell’impresa, significa affermarsi tra le università più competenti in materia di management. Si ragiona secondo un’ottica globale, che trascende i confini nazionali, anche per questo c’è chi non avverte come un pericolo il fatto che dei giovani italiani possano fare le valige e trovare occupazione all’estero. Il problema però, è che in questo clima di interscambio di “cervelli”, l’Italia registra sempre un bilancio in passivo: molti vanno via senza che a questo corrisponda un ingresso di portata eguale di stranieri qualificati in arrivo nel Belpaese.
L’identikit del laureato in fuga
Un’altra indagine, questa volta di Almalaurea, traccia il profilo del laureato emigrante. In testa non ci sono solo i neodottori in Lingue, ma anche quelli dell’area politico-sociale. Per la verità non mancano neanche gli ingegneri. Inghilterra, Francia, Spagna e Stati Uniti sono in cima alle preferenze. Qui si calcola che lo stipendio possa crescere del 50% rispetto a quello corrisposto in Italia, con una media di 1.342 euro a cinque anni dal conseguimento del titolo per chi decide di rimanere a casa propria e i 2.015 euro di chi invece, opta per l’estero.
Manuel Massimo 

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