Formazione a distanza, cyberbullismo e il nuovo “fenomeno” detto Zoombombing

In questa delicata fase attraversata dalla Scuola italiana, il digitale si sta ponendo come una risorsa di importanza strategica. Grazie all’impegno prima di tutto dei docenti e poi, ovviamente, delle famiglie, le lezioni sono continuate nonostante il “lockdown”.

La didattica in presenza è bloccata, eppure il digitale sta supportando la Scuola, spingendola verso la fine dell’anno. E’ ovvio che il fatto di essere stati catapultati improvvisamente “dentro” la dimensione di una Scuola digitale, alla quale non eravamo probabilmente pronti, sta evidenziando molti problemi… alcuni anche reiterati. Uno dei “luoghi digitali” più usati per la didattica a distanza è la piattaforma Zoom.

L’azienda, fondata nel 2011 da un ex ingegnere di Cisco, l’americano di origine cinese Eric Yuan, in questi primi mesi del 2020, in coincidenza con l’esplosione della pandemia da COVOD-19, una crescita straordinaria degli utenti. Questo ha comportato non poche difficoltà.

Cos’è ZOOM? Si tratta di una notissima piattaforma di video-conferenza, semplice da usare, elegante e, soprattutto, gratis fino a 40 minuti con 100 persone collegate. Il funzionamento è legato alla creazione di una (o più stanze) virtuali alle quali è possibile invitare gli altri. Negli ultimi mesi, su questa piattaforma, si è fatto di tutto: ci si sposa, si fanno drink in diretta, ci si conosce, concerti live, e ovviamente si studia. Purtroppo ogni giorno sono nati sempre nuovi problemi, e complessivamente è emerso che questa piattaforma non è stata progettata con la sicurezza e la privacy “al centro”.

Zoom, fino ad ora, si è rivelato uno strumento importantissimo per il mondo della Scuola, eppure, proprio nelle ultime settimane, al di là delle criticità tecnologiche, proprio gli “ambienti” digitali della Scuola stanno subendo le conseguenze di odiosi fenomeni che, in tempi di normalità, potrebbero benissimo essere assimilati alle situazioni di “bullismo e cyber-bullismo”.

Di cosa stiamo parlando?
Stanno emergendo certamente grossi problemi di sicurezza e privacy, ma anche e soprattutto criticità legate all’etica digitale. Attacchi di troll organizzati, con contenuti violenti, razzisti e pornografici nel bel mezzo di call di lavoro o chat personali, oppure alle “entrate” dei gamer che hanno trasferito intere lezioni online su piattaforme di videogiochi – fino ai tentativi quasi sempre riusciti di “buttare fuori” partecipanti di una call, in modo improvviso e violento.

E’ stato coniato il termine “zoombombing”, e manifesta nella dimensione digitale quello che succede (o potrebbe succedere) in presenza… ovvero i teppisti e i violenti che magari in una festa decidono di spaccare tutto, distribuendo improperi e oscenità verso tutti i presenti.
Si tratta di un fenomeno sgradevole che minaccia il già fragile tentativo di trasporre online tutte le attività lavorative che, prima della crisi per il coronavirus, si svolgevano “in presenza”. Facendo riferimento alla lingua inglese, la parola “zoombombing”, si può spiegare così: «Zoombombing: l’atto di intromettersi in una videochat di gruppo senza essere stati invitati, generalmente per provocare una reazione alterata nei partecipanti. L’interruzione della videoconferenza può avvenire attraverso la condivisione del proprio schermo che mostra video con materiali pornografici o violenti – razzisti – discriminanti.

Cosa si può fare concretamente per ridurre i rischi
Zoom sta correndo ai ripari e sono arrivate anche le scuse del CEO, Eric Yuan, che ha illustrato tutta una serie di interventi sul sistema di difesa della Privacy e dei dati degli utenti.

Ricordiamo che su Zoom abbiamo la possibilità di “Chiudere la porta”, una volta cominciato il meeting e si è sicuri di avere in stanza tutte le persone desiderate. In questo modo, anche se un esterno viene a conoscenza della password e del link non sono utilizzabili. Abbiamo la possibilità di “rimuovere” partecipanti indesiderati, disattivare anche temporaneamente il video di qualcuno e disattivare la chat private. Si possono “silenziare” i soggetti che magari usano un linguaggio poco consono o osceno, ricordando che, nelle call con molte persone, si può attivare questa funzione fin dall’inizio di default per tutti. Usiamo l’autenticazione a due fattori. Per call pubbliche non utilizzare, quando possibile, l’identificativo personale (PMI), che equivale a creare una stanza sempre aperta; è importante fornire alla lista di partecipanti una password per verificare che possano accedere alla videocall. E’ meglio creare il meeting con un identificativo generato in modo random.

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