Le Fondazioni per l'innovazione

matrix.jpg“Ben vengano le Fondazioni universitarie, ma non quelle pensate da Tremonti”. Lo ha detto con chiarezza il rettore dell’università de L’Aquila Ferdinando di Orio, presidente del coordinamento nazionale delle Fondazioni universitarie nel corso di un convegno sul tema organizzato ieri presso la sede della Crui (Conferenza Rettori Università Italiane) a Roma. Le Fondazioni esistenti, introdotte con la Finanziaria del 2001, sono attualmente soltanto 12 su 77 atenei (il 15% circa del totale), tanto che nel corso dei lavori si parla di Fondazioni come “tassello mancante” nell’università italiana. Una lacuna che sarebbe opportuno colmare.
«Se la proposta del governo coincide di fatto con una privatizzazione degli atenei, le Fondazioni universitarie attualmente operanti – ha spiegato di Orio – rappresentano invece enti strumentali degli atenei, una sorta di braccio operativo, che assolvono la delicata funzione di intessere relazioni significative con il territorio, attrarre risorse, raccogliere istanze, produrre idee e suggerimenti per la costruzione di progetti innovativi». Una funzione preziosa di raccordo tra Accademia e Impresa ma anche di promozione del territorio.
Pizza: “Rilanciare il Sud”. Il sottosegretario all’Istruzione, Università e Ricerca, Giuseppe Pizza, nel suo intervento, ha invitato ad avere “il coraggio di seguire strade nuove e innovative”. «Lo strumento della Fondazione, grazie al coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati – ha detto – può aiutare a sostenere in maniera più efficace e dinamica persino l’offerta didattica e scientifica degli atenei». Non solo. «Il felice e costruttivo coinvolgimento di università, istituzioni e mondo dell’impresa – ha aggiunto – può costituire la risposta a un altro problema storico italiano: quello del Sud».
“Innovazione e promozione”. Come ha sottolineato il presidente della Fondazione Politecnico di Milano Giampio Bracchi: “La nostra realtà, operante dal 2003, ha svolto un ruolo significativo nell’innovazione delle imprese e del settore pubblico nel trasferire le competenze e le ricerche dell’università al servizio dello sviluppo economico”. La mission di ogni Fondazione, peraltro, dovrebbe essere proprio quella di costituire una struttura promozionale che svolge una forte attività di lobbying per l’ateneo accanto al quale opera. La parola d’ordine, dunque, sembra essere: partnership. Bisogna evitare ogni sorta di “sovrapposizione” con l’ateneo di riferimento, dando vita a progetti che “portino la ricerca e la conoscenza nel contesto economico-sociale”.
Il capitale umano. Pierangelo Marcati (università degli studi dell’Aquila) ha insistito sull’importante ruolo di fund raiser delle Fondazioni e sulla loro versatilità, in quanto attrattori di risorse in diversi ambiti ti ricerca (dalla sanità alle nanotecnologie, dall’energia all’aerospazio), creando spesso dei fenomeni di forte ibridazione. Ma la chiave di volta per far sì che la Fondazione operi nel miglior modo possibile risiede nel “capitale umano” di cui può disporre: “Sarebbe opportuno prendere tutti i cavalli di razza che si hanno nelle scuderie e lanciarli al galoppo”.
Le nuove convergenze parallele. Sono quelle immaginate dal presidente della Fondazione Iulm Giovanni Puglisi (che ricopre anche la carica di rettore dell’ateneo privato milanese) con le Fondazioni bancarie: “Basate sui contenuti e non sugli accordi di potere”, tiene a precisare. Anche in questo caso la sperequazione tra Nord e Sud è molto forte: “Su 88 Fondazioni bancarie soltanto 7 operano nel Sud e nelle isole”. Insomma: le due Italie che tante volte vengono mostrate in televisione o analizzate sulle colonne dei giornali sono una realtà che andrebbe superata a tutti i livelli.

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