Cop26, oltre la polemica del “bla bla bla” quali sono le decisioni storiche in atto

La dichiarazione storica al Cop26 impegna i paesi a porre fine alla causa principale delle emissioni di CO2. Sarà davvero così? Gli scienziati e le associazioni hanno i loro forti dubbi.

Greta Thunberg e i giovani (e meno) dei Fridays for Future sanno che il rischio del “bla bla bla” è dietro l’angolo. Fin dall’inizio del Cop26, la 26esima Conferenza sul clima, che si terrà fino al 12 novembre a Glasgow, in Scozia, ha visto sulle barricate i giovani invitati. Basti notare che la prima parola dell’appello firmato dalla giovane svedese, da Vanessa Nakate, Dominika Lasota e Mitzi Tan, è ben evidenziata: “Tradimento”.

La conferenza, infatti, non è iniziata con il migliore degli auspici, preceduta da un deludente G20 in cui sono stati evidenziati i disaccordi invece che le intese. E un insuccesso dal punto di vista delle intezioni è stato detto ieri in conferenza stampa proprio dal premier Mario Draghi: “Ci sono comportamenti poco coerenti e questo indebolisce la posizione dei Paesi molto virtuosi – ha detto il premier -. Non credo si ottenga molto sul clima indicando i Paesi colpevoli e i Paesi innocenti, perché i colpevoli sono moltissimi e gli innocenti sono pochissimi”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden più esplicito: “In questo momento stiamo fallendo”.  E il segretario generale della Nazioni Unite, António Guterres, mette in guardia: “I piccoli stati insulari in via di sviluppo, e altri vulnerabili, stanno già vivendo il disastro. Per loro, il fallimento (della Cop 26, ndr) è una condanna a morte”.

Decisioni storiche o “bla bla bla”?

E pur si muove. I leader mondiali hanno concordato un accordo che mira a fermare e invertire la deforestazione globale nel prossimo decennio come parte di un pacchetto multimiliardario per affrontare le emissioni di gas serra causate dall’uomo. Occhi puntati su Xi Jinping, Jair Bolsonaro e Joe Biden tra i leader che hanno fatto trapelare un impegno sul proteggere vaste aree, che vanno dalla taiga siberiana orientale, al bacino del Congo, sede della seconda foresta pluviale più grande del mondo. Il disboscamento dell’uomo rappresenta quasi un quarto delle emissioni di gas serra, in gran parte derivanti dalla distruzione delle foreste pluviale per i prodotti agricoli come l’olio di palma, soia e carne bovina.

Firmando la Dichiarazione dei leader di Glasgow sull’uso delle foreste e del territorio, i presidenti e i primi ministri dei principali produttori e consumatori di prodotti legati alla deforestazione si impegneranno a proteggere gli ecosistemi forestali. Secondo le indiscrezioni del Guardian, il primo ministro inglese svelerà l’accordo in un evento a cui parteciperanno il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il principe di Galles e il presidente indonesiano, Jowo Widodo. Boris Johnson all’inaugurazione aveva dichiarato: “Le nuove generazioni ci giudicheranno con amaressa se falliremo. Siamo ad una minuto dalla mezzanotte”, ricordando lo spettro atomico.

Per la prima volta il terzo più grande inquinatore al mondo, l’India, ha fissato un obiettivo di emissioni zero al 2070. Più in là di quanto affermato al G20 e in netto contrasto con la data del 2050 fissata dai più più sviluppati. Gli impegni sulla deforestazione sarebbero una vittoria per il Regno Unito come Paese ospitante con la responsabilità di creare un consenso tra le quasi 200 nazionai presenti. Benché per gli scienziati sia imprescindibile una diminuzione del 45% delle emissioni entro il 2030 per contenere il disastro climatico.

I soldi stanziati dal padrone di casa

Il pacchetto include 6,2 miliardi di sterline di nuovi finanziamenti privati e 10,30 miliardi di finanziamenti pubblici per ripristinare i terreni degradati, sostenere le comunità indigene, proteggere le foreste e mitifare i danni causati dagli incendi. Fanno parte dell’accordo anche un impegno degli amministratori delegati di società privati, in aggiunta ad un finanziamento da 1,5 miliardi da parte del governo britannico per le foreste: 350 milioni per l’Indonesia, 200 per il Congo, mentre 1,1 miliardo per la forevasta pluvilae dell’Africa oddicentale.

Molti sono i dettagli che dovranno essere chiariti, soprattutto su come questi soldi verranno spesi; secodo la Rainforest Foundation Norway: “I grandi assegni non salveranno le foreste se i soldi non vanno nelle mani giuste”, sottolineando che dovrebbero andare ai gruppi indigeni e ad altri che si impegnano a proteggere la foresta. Almeno 1,25 miliardi di sterline di finanziamenti saranno erogati direttamente alle popolazioni indigene e alle comunità locali da governi e filantropi per il loro ruolo nella protezione delle foreste. Ma i fondi promessi sono ancora molto al di sotto di ciò che alcuni credono sia necessario.

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