Archeologia – Palombini: volevo fare l’archeologo da piccolo, alle elementari. Mi iscrissi a Lettere e infine tornai al primo amore

Corriereuniv.it in occasione del lancio delle guide digitali di orientamento, studiate per gli studenti in tempo di Covid ha intervistato Augusto Palombini, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale. 

Secondo lei quali sono le conoscenze e capacità di entrata necessarie per lo studio in Archeologia?

In generale, credo che l’elemento principale sia la curiosità per il passato e per la storia, anche dal punto di vista sociale. Di solito, chi ha questo tipo di interesse se ne rende conto abbastanza presto. Da un punto di vista formativo sicuramente una preparazione classica aiuta molto: lo studio del greco e (almeno) del latino è importante anche tecnicamente se si affronteranno contesti storici, lo è meno se ci si concentrerà sulla preistoria, anche se in generale la ritengo comunque una marcia in più sul piano della preparazione logica.

Ci può descrivere in breve, la carriera formativo-professionale di un archeologo?

È un lavoro che richiede un corso universitario specialistico, anche se oggi vi si può accedere con percorsi che possono presentare differenze a seconda delle università. Dopo la laurea magistrale si può decidere se avviarsi all’attività da professionisti (un’attività orientata prevalentemente alla sorveglianza di cantieri o alle consulenze), oppure proseguire gli studi, nel qual caso si può optare per la scuola di specializzazione o il dottorato di ricerca. Benché i due titoli siano spesso considerati equivalenti hanno tendenzialmente caratteri e finalità diverse. La prima è più orientata a una preparazione tecnica e anche normativa, idonea alla carriera ministeriale e nelle sovrintendenze, mentre il dottorato di ricerca, come suggerisce l’espressione, è pensato per la carriera universitaria e per l’avvio all’attività di ricerca.

Avevo già deciso di intraprendere questo percorso durante gli anni adolescenziali?

In realtà volevo fare l’archeologo da piccolo, alle elementari. Successivamente sono subentrate altre suggestioni più legate alla scrittura: da adolescente volevo studiare filosofia e fare il giornalista. Tuttavia a volte nella vita i diversi fili delle visioni poi si riannodano: nel grande calderone che era allora la facoltà di Lettere cercai di assaggiare quante più materie potevo e infine tornai al “primo amore” e scelsi l’indirizzo archeologico, anche se la scrittura ha poi sempre rappresentato una parte importante della mia attività.

Un diplomando/a che si appresta alla scelta formativo-professionale, quali elementi primari dovrebbe considerare?

Anzitutto le proprie passioni: fare un lavoro che piace credo sia qualcosa di impagabile, anche nella difficoltà e persino se si è poi costretti a rinunciarvi, ma con la consapevolezza di averci provato. In realtà poi sono sempre stato convinto (e l’esperienza me lo ha confermato) che quando si lavora con passione, anche in momenti di scarsità di occupazione, si è in grado di trovare risvolti e declinazioni originali alla propria attività che finiscono per trovare un mercato. Ovviamente occorre anche saper stare con i piedi per terra, ma Primo Levi scrisse ne “La chiave a stella”: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare per il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.” 

Quali sono gli ambiti di ricerca, lavoro e sviluppo nel suo campo?

Oggi l’attività dell’archeologo abbraccia molti ambiti. Come dipendente pubblico si può intraprendere la carriera di ricerca, nell’Università o in enti come il CNR, oppure indirizzarsi verso l’attività nelle sovrintendenze. Come liberi professionisti si può diventare archeologi sul campo eseguendo la sorveglianza dei lavori pubblici, oppure trovare altri sbocchi nel mondo del turismo o della divulgazione. Infine, ci sono ambiti molto recenti che stanno prendendo piede, come quelli legati all’economia della cultura e all’informatica applicata al patrimonio culturale.

Una parola di augurio alle future matricole?

Il mio consiglio è di non lasciarsi ingabbiare dagli schemi e dalle divisioni fittizie ma ragionare sempre in modo trasversale fra le discipline. Quello dell’archeologo è uno dei tanti lavori che prevedono una preparazione a metà fra il mondo umanistico e quello scientifico, e all’estero questo dualismo è molto più avvertito, mentre in Italia si vive ancora un solco ingiustificato che fa immancabilmente chiedere a tutti se siano più portati per le lettere o per le scienze. Da adolescente odiavo la matematica, ma perché non ne vedevo le ricadute: quando ho dovuto studiare statistica per scopi molto legati al mio lavoro di ricerca l’ho poi fatto con entusiasmo. Auguro a tutti di seguire la propria indole ignorando e sorvolando gli steccati.

Amanda Coccetti

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