“Anticorpi nel sangue non nelle vie aeree”: lo studio dell’Università dell’Insubria spiega perché anche i vaccinati possono trasmettere il Covid

Un gruppo di studiosi dell’ateneo lombardo ha condotto una ricerca su 60 operatori sanitari tra i primi a ricevere la doppia dosse di vaccino Pfizer-Biontech. “I nostri dati spiegano perché la vaccinazione a mRNA sia efficace e protettiva contro la malattia severa, ma meno performante nel blocco dell’infezione e quindi della circolazione del virus tra i soggetti vaccinati”.

Vaccino anti Covid non completamente efficace nel proteggere le vie aeree. È il risultato a cui è arrivato uno studio condotto dall’Università dell’Insubria e dall’Asst dei Sette Laghi pubblicato su EBioMedicine, rivista del gruppo editoriale The Lancet. L’indagine in pratica sostiene che con il vaccino anti Covid, si creano anticorpi nel sangue ma non altrettanto nella saliva. In particolare l’indagine si è concentrata sulla risposta immunitaria mucosale evocata dalla vaccinazione anti Covid-19 con Pfizer-BioNTech.


Lo studio, a cui ha attivamente partecipato il personale infermieristico, ha riguardato 60 operatori sanitari dell’azienda ospedaliera varesina che hanno ricevuto due dosi di vaccino fra il 30 dicembre 2020 e il 20 gennaio 2021. A loro sono stati prelevati sangue e saliva il giorno della vaccinazione, due settimane dopo la prima dose e due settimane dopo la seconda. Così si è scoperto che “dopo il completamento del primo ciclo di due dosi di vaccino – spiegano dall’università dell’Insubria -, tutti i soggetti immunizzati presentano anticorpi neutralizzanti anti-Spike nel sangue ma non nella saliva, nella quale sviluppano anticorpi neutralizzanti solo gli individui precedentemente esposti all’infezione naturale e le cui mucose orali sono state a contatto con gli antigeni virali. Questi dati spiegano almeno in parte perché la vaccinazione a mRNA sia efficace e protettiva contro la malattia severa, ma meno performante nel blocco dell’infezione e quindi della circolazione del virus tra i soggetti vaccinati”.

 
“Oggi il riacutizzarsi della pandemia – spiegano Greta Forlani, che ha condotto e coordinato il disegno sperimentale dello studio e il patologo orale e ricercatore odontoiatra Lorenzo Azzi, che ha coordinato lo studio con Daniela Dalla Gasperina – fa emergere sempre con maggiore urgenza la necessità di indurre un’immunità sterilizzante per bloccare la diffusione del virus. A nostro parere per raggiungere questo obiettivo occorre rafforzare le difese immunitarie a livello delle vie aeree, sviluppando ad esempio preparazioni vaccinali somministrate nel cavo orale o nelle vie nasali, che rappresentano la prima barriera all’ingresso del virus nell’organismo”.

 
“Sulla base delle evidenze sperimentali ottenute da questo primo studio – hanno aggiunto, stiamo valutando l’andamento della risposta immunitaria umorale nel siero e nelle mucose
negli stessi soggetti a circa sei mesi dal termine del ciclo vaccinale e dopo il terzo boost antigenico”. L’analisi statistica dello studio è stata condotta da Marco Ferrario, Francesco Gianfagna e Giovanni Veronesi, afferenti al Centro di ricerca in Epidemiologia e medicina preventiva (Epimed) dell’Università dell’Insubria. E tra gli autori dell’articolo figurano anche il rettore Angelo Tagliabue, il direttore sanitario dell’Asst Sette Laghi Lorenzo Maffioli, il
past-president della Scuola di medicina Giulio Carcano, il professore emerito di Patologia generale dell’Insubria Roberto Accolla, il professor Fabrizio Maggi, direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Insubria, e il professor Francesco Dentali, direttore del Dipartimento delle Medicine dell’Asst Sette Laghi.

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