Al lavoro meglio essere sensibili che cervelloni

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Ragione e sentimento, cuore e cervello, esperienza di vita e competenza tecnica: chi ha detto che tutti questi aspetti non collaborino insieme nel determinare il grado della nostra intelligenza?

Anche sul lavoro, la sensibilità e le esperienze personali contano. Per questo i criteri di selezione delle risorse umane sono cambiati. Una volta le aziende, soprattutto in America, puntavano sulla misurazione del quoziente intellettivo per selezionare le risorse da inserire nell’organico. Adesso, lo studio in materia di valorizzazione e gestione delle risorse umane è progredito e ha stabilito che le potenzialità di un individuo risiedono soprattutto in quella che viene definita “intelligenza emotiva”.

Ma che cos’è? Sul lavoro non contano solamente le competenze tecniche. Il vero motore di tutto sono le competenze trasversali, legate alla cosiddetta intelligenza emotiva. Chi la possiede, riuscirà anche a lavorare meglio in team o in autonomia, ad avere spirito di iniziativa e capacità di problem solving. Avrà inoltre una buona predisposizione all’innovazione e tante altre qualità preziose sul lavoro.

Tra le più importanti capacità che possediamo, infatti, vi sono quelle empatiche. L’intelligenza emotiva non è altro che, secondo gli psicologi, un aspetto dell’intelligenza, che ci consente di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le nostre emozioni e quelle altrui.
L’”Emotional Intelligence” (EI) è stata scoperta dai professori Peter Salovey e John D. Mayer, nel 1990, ed è stata rivalutata all’interno delle aziende soltanto di recente.

Secondo uno degli studiosi più attivi in materia, Goleman, la competenza emotiva è divisa in personale e sociale. La competenza personale consiste nella capacità di conoscere le nostre emozioni e il modo in cui influiscono sulle nostre prestazioni. Saper gestire il cambiamento, avere padronanza di sé e flessibilità, saper essere aperti nei confronti delle idee degli altri, avere una una spinta interiore che ci consente di migliorare ed essere determinati: sono tutti fattori che dipendono da un grado elevato di intelligenza emotiva.

Le competenze sociali, poi, regolano le nostre capacità comunicative e di leadership, nonché la nostra capacità nel risolvere problemi e conflitti, attraverso decisioni adeguate. Saper ascoltare le esigenze altrui e saper comprendere i sentimenti e le emozioni di coloro che ci circondano, dunque, anche sul lavoro, è più importante che avere un quoziente intellettivo sopra la norma.

Per questo, persino nei Paesi anglo-sassoni, l’intelligenza emotiva ha superato qualsiasi altro criterio nella selezione del personale delle aziende- anche delle più grandi ed affermate. Insomma, non basta essere dei cervelloni, bisogna anche avere una grande sensibilità.
AZ

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