Università italiane, la protesta dei "lettori"

lettori.jpgTutti i «lettori di scambio culturale», circa un centinaio, che lavorano nell’ambito di accordi bilaterali tra l’Italia e i Paesi europei e extracomunitari protestano per la cancellazione proprio della figura del «lettore di scambio» nelle università italiane di Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli (Federico II), Napoli L’orientale, Padova, Palermo, Pisa, Sapienza di Roma e Roma Tre, Salento (Lecce), Torino e Trieste.
«In un’era di internazionalizzazione – riporta una nota – l’Italia chiude le porte a un centinaio di docenti stranieri. Veniamo da tutte le parti del mondo: dall’Austria, dal Belgio, dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna, dalla Slovenia, ma anche da Paesi più lontani come il Brasile, la Cina, il Messico, la Turchia. Siamo in Italia nell’ambito di accordi culturali bilaterali tra l’Italia e il nostro paese, dopo aver superato una selezione nel nostro paese di origine. Docenti laureati inviati tramite le nostre rispettive ambasciate per insegnare la nostra lingua e trasmettere la cultura del paese d’origine, svolgiamo il nostro lavoro nelle università italiane da decenni (alcuni accordi storici risalgono agli anni ’40-’50), mentre un centinaio di docenti italiani lavorano all’estero grazie a questi scambi».
«Essendo poco numerosi – viene detto nella lettera aperta – non abbiamo visibilità presso l’opinione pubblica. Sarà per questo motivo che il governo Berlusconi, con l’art. 24 della legge 133 del 2008, ha abrogato le disposizioni della legge 62/1967, eliminando in un solo colpo la figura del lettore di scambio in tutti gli atenei italiani? È possibile che, per semplici motivi economici, delle convenzioni internazionali vengano interrotte in modo improvviso, senza alcuna preventiva informazione alle rappresentanze diplomatiche dei Paesi con i quali, da decenni, esistono accordi? Questa legge avrà un gravissimo impatto sull’istruzione scolastica e universitaria: questa legge avrà come conseguenza una riduzione dell’insegnamento delle lingue, con il rischio di far scomparire completamente, per alcune università, lingue come l’ebraico, lo sloveno, il croato, il danese, il finlandese o il polacco».
«Chiediamo che il governo italiano ripristini la legge ingiustamente abrogata, valutando attentamente le gravissime conseguenze che questa decisione potrebbe avere sull’istruzione e sul prezioso patrimonio linguistico-culturale che rappresentano questi accordi. Chiediamo anche – conclude la lettera – che le università prendano una posizione chiara e comune a riguardo e facciano sentire la loro voce presso il Ministero di Istruzione, Università e Ricerca».

Manuel Massimo

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  1. Oggi, purtroppo, si assiste ad una nuova, e più virulenta, calata dei barbari. Ma a differenza degli antichi, quelli che fecero cadere l’impero romano, almeno come si crede, i nuovi, che scalano le vette del potere forti sia di un egocentrismo da raccapriccio sia di un consenso plebiscitario acritico e dilettantistico, dietro una stucchevole facciata culturale, celano un’incultura, che emerge al primo batter di ciglia. Con questi presupposti è più che ovvio che cercano di togliere di mezzo, in ogni modo, la Cultura, quella che opera attivamente ed esporta il nome della nostra gloriosissima cultura, apprezzata in tutto il mondo. Ma questi operatori cuturali, che lavorano nell’ombra e a contatto solo con un certo di tipo di intelletti, sono di fastidio, perché inducono i cervelli ad usare ragione e logica.
    Perché non si abbia un popolo che ragioni e che usi la logica, basta togliere di mezzo gli strumenti, che può offrire solo la scuola ed il personale specializzato.
    Oggi la linguistica tende al recupero di antichi idiomi e alla valorizzazione di quelli vivi. Ma i nostri signori politici, cui interessa solo la poltrona ed il nome, la visibilità ed il rumore che suscita una qualsiasi loro presa di posizione, delle lingue e dei “lettori di scambio” non sanno o, meglio, non conoscono la ricchezza che questa minuta categoria offre alla cultura e alla diffusione della buona letteratura.
    Se veramente si vuole risparmiare, questi signori che “ci rappresentano” abbiano il coraggio di diminuire le loro laute prebende, prendano sul serio la CULTURA, che progetta e sviluppa una coscienza imprenditoriale di prim’ordine.
    Siccome la politica, oggi, è un fenomeno clientelare che si va imponendo ed estendendo a macchia d’olio, le risorse tolte alla cultura devono impinguare la mangiatoia, cui si accosta sempre più avido il codazzo dei portaborse e dei lecchini. E noi, dispiace dirlo, siamo governati da questi figuri.
    Non è questa, purtroppo, l’Italia della cultura e quell’Italia che ci hanno consegnato quegli intelletti lungimiranti, che credevano nel valore della cultura.
    Ogni benpensante mediti quale atteggiamento assumere e si regoli di conseguenza, per far capire a questi barbari onnipotenti che a tutto c’è un limite.

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