L’Università degli Studi di Siena si appresta a vivere la sua “Rivoluzione d’Ottobre”. Se sfogliassimo un ipotetico libro di storia dell’ateneo della città del Palio edito tra venti o trent’anni, questo ottobre 2009 sarebbe in effetti menzionato come il mese in cui questo stesso ateneo ha tentato di risollevare le sue sorti con una vera e propria tempesta di nuove regole.
L’antefatto: il buco – L’Università di Siena è seduta sul baratro di un buco economico enorme, da profondo rosso. Nel novembre del 2008 era calcolato in almeno 160 milioni di euro. E in questo anno di lacrime e sangue non si è risolto poi molto, visto che giusto qualche giorno fa, il 13 di ottobre, il magnifico rettore, professor Silvano Focardi, si è recato a Roma per strappare un sì capitolino al maxi-finanziamento da 110 milioni messo sul piatto dal “benefattore di turno”, il sempre presente dalle parti di Siena, Monte dei Paschi.
Il fatto: la “soluzione” – Quello passato è stato un anno di caccia di soldi. Continuata e continuativa gestione costante dell’emergenza. Ma a Siena dimostrano d’avere gli occhi lunghi. Perché voglio provare a non cascarci più. Per questo nel luglio di quest’anno il Senato Accademico ha imposto al Magnifico Rettore la formazione di una speciale Commissione, dandole lo scopo di redigere il “Piano Strategico”. Per dirla in poche righe: il Senato Accademico, tramite la Commissione stessa, ha preteso che fosse formulata una precisa domanda strutturale: “Come vediamo il nostro Ateneo tra cinque anni?”. La risposta è stata inequivocabile: “Molto diverso dall’Ateneo del Rettore Focardi”. Il piano, infatti, porterà ad una rivoluzione della governance dell’Ateneo.
Primo aspetto: il CDA. Che sarà molto più snello (da 26 a 10 componenti), formato da tecnici esperti ed esterni, a cui verranno affidate fredde funzioni di pianificazione finanziaria e gestione amministrativa. Perché dovrà essere il Senato a farsi carico del ruolo, più “politico” e sugoso, di indicare la strategia.
L’ufficio del rettore, poi. Al peso del mandato allungato (dagli attuali 4 a 6 anni), fa da contrappeso il divieto di ri-elezione (in modo da svincolare il Magnifico di turno da eventuali pressioni, suggestioni e tirate interessate di giacchetta), e l’istituzione di una vera e propria verifica a cui, dopo 3 anni, dovrà sottoporsi il Rettore al quale, in quell’occasione, il Senato con i 2/3 dei suoi componenti potrà chiedere di rimettere formali dimissioni. Pesi e contrappesi, quindi. Un modo istituzional/politico di imparare qualcosa dalle crisi economiche. Che sembra quasi un esempio per l’intero Paese.