Statale di Milano al voto, Solari: “Al posto di un test serve un grande centro di orientamento per i futuri studenti di Medicina”

Il candidato alla carica di rettore: “Servono più corsi interdisciplinari e meccanismi di responsabilizzazione per chi nei dipartimenti recluta i docenti”

L’Univeristà degli Studi di Milano è pronta a cambiare timoniere per i prossimi sei anni, i candidati sono tre: una donna, Marina Brambilla, professoressa di Linguistica, e due uomini, Gian Luigi Gatta, prof. di Diritto penale e Luca Solari, prof. di Organizzazione aziendale presso Scienze Politiche. Si parte con la prima votazione il 3 aprile. Una nota di colore che differenzia quest’elezione nell’anno del centesimo anniversario dell’ateneo menighino: i candidati sono tutti umanisti, fuori dalla corsa candidati tra le materie scientifiche.

Corriereuniv.it intervisterà tutti e tre i candidati per dare ampio spazio ai programmi che gli aspiranti rettori che dovranno guidare la Statale di Milano fino al 2030. Partiamo da quello che è consierato l’outsider rispetto gli altri due contendenti: Luca Solari. Direttore della scuola di Giornalismo “Walter Tobagi“ oltre che docente di Organizzazione aziendale. Il professore della Facoltà di Scienze Politiche fin dalle prime pagine del suo programma ci tiene a sottolineare la distanza con l’attuale dirigenza e il rettore uscente Elio Franzini sul modello di partecipazione universitaria, puntando sul concetto di bene comune. “L’organizzazione persino di un’impresa for profit è oggi più comunitaria di quella della nostra università”, scrive Solari nel programma. Un approccio dal basso e dove si “fà” l’università, ad esempio all’interno dei dipartimenti, che il docente ha intenzione di cambiare se dovesse vincere la corsa elettorale.

Quali sono secondo lei le tre periorità da attuare per far crescere come ateneo europeo l’Università degli Studi di Milano?

La prima è un forte investimento sulla ricerca di base. Noi abbiamo fatto diverse cose in questa direzione ma, soprattutto per le aree che non possono accedere a finanziamenti esterni, c’è molta sofferenza e difficoltà. Dobbiamo aumentare l’attrattività per gli studenti e per i visiting professor, oggi gli alti costi della vita di una città come Milano ci limita per l’attrattività. E un terzo elemento è aumentare il numero dei docenti di ruolo che non sono italiani.

Studentati e posti letto

Per le strutture ricettive per gli studenti non possono essere risolte dalle singole università, noi ci impegneremo, stiamo discutendo con il Policlinico di ri-orientamento di un paio delle strutture interne a supporto dei servizi dello studentato ma siamo ancora lontani dai posti che possiamo offrire agli studenti, anche internazionali, rispetto a situazione degli altri paesi. Questo è un problema di paese Italia. Non abbiamo mai pensato che l’investimento sull’università avesse dovuto significare anche investire sul diritto allo studio, mense e vitto.

Mind e Città Studi, quale dovrà essere il modo di vivere questi spazi per l’università?

Mind e Città Studi sono due progetti di rinnovamento urbano. Di più quello di Città Studi che è più un’area più universitaria, con un rinnovamento di tutta una parte del campus, un po’ come è avvenuto per la centrale del latte con la Bocconi. In Città Studi è previsto una parte di studentato aggiuntivo, su Mind bisognerà riaprire il tavolo per capire quali saranno le soluzioni di residenzialità perché nel progetto non è ancora chiaro quali saranno gli spazi, si parla di alcune aree ma ancora non finalizzato. Le due aree avranno un impatto se oltre allo spostamento dei diversi dipartimenti ci sarà un piano per il rapporto tra queste aree e il tessuto urbano in cui saranno inserite per evitare che siano delle cattedrali nel deserto.

Come intende migliorare i servizi agli studenti e che rapporti avrà con le rappresentanze?

Oggi noi abbiamo una partecipazione degli studenti ad una buona parte degli organi decisionali ma questa partecipazione non è sempre qualificata. Da una parte servirebbe riconoscerla con dei crediti formativi, dall’altra fargli della formazione perché fino ad oggi ci si è aspettato che imparino da soli i loro ruoli mentre servirebbe una formazione per rendere effettiva la partecipazione facendo acquisire delle competenze adeguate per esercitare il proprio ruolo. Poi c’è un tema più generale che è quello della numerosità: noi abbiamo in ambito didattico le commissioni paritetiche ma al di là di questo credo che la componente dei docenti deve capire che l’università non è sua ma un’istituzione comunitaria in cui il personale tecnico e gli studenti devono avere la possibilità di esprimere le loro opinioni.

Imprese e laureati, come intende favorire l’inserimento nel mercato del lavoro?

Nel mio programma prevedo di costruire delle relazioni stabili non solo con Assolombarda ma con imprese in cui magari dei colleghi stanno già facendo progetti di stage, costruire un tavolo in cui i vertici di queste aziende vengano coinvolte nella vita dell’università, si prendano delle responsabilità di alcuni corsi o iniziative di avviamento al lavoro. Il vero problema tuttavia in molti casi è che la nostra offerta didattica è ancora oggi vincolata a delle tabelle ministeriali che non tengono effettivamente conto delle esigenze di mercato. Su questo chiamerò il mondo delle imprese a fare pressing sui corsi di laurea a livello MUR per avvicinarli a quelli che effettivamente servono nel mercato.

L’Università degli Studi di Milano ha vissuto l’ultimo anno con uno scandalo concorsi che ha coinvolto il rettore uscente Franzini, qual è la sua idea riguardo il reclutamento e come pensa si possa migiorare l’attrattività per i docenti esterni all’ateneo?

I vincoli sono prettamente retributivi, il nostro è un Paese in cui le posizioni universitarie non sono attrattive da un punto di vista economico e le università pubbliche non hanno margine di manovra per adattare anche la variabile retributiva per quelli che sono i contributi che le persone portano. A differenza per esempio del contesto internazionale dove l’università possono fare delle operazioni dedicate negoziando delle condizioni specifiche. Il tema dei concorsi è un tema annoso nel nostro paese. A mio avviso il problema effettivo si risolverebbe più facilmente sulla responsabilizzazione sui risultati, con dei meccanismi che sanzionano chi ha operato la scelta di una risorsa che non porta risultati. Il tema è di mettere insieme una caratteristica di merito e alcuni elementi di cooptazione perché poi la persona deve lavorare all’interno di un contesto.

Quali sono i corsi di laurea su cui l’ateneo dovrebbe puntare o potenziare? 

L’Università degli Studi di Milano è quella più interdisciplinare ma ha pochi corsi interdisciplinari. Ad esempio a cavallo tra Medicina e Informatica, piuttosto che Medicina e Tecnologie vengono fatti da altri partner e noi che avremmo le competenze internamente facciamo fatica. Questo è uno dei miei grandi obiettivi, rivitalizzare l’Ateneo e costruire un’offerta didattica che valorizzi le diverse anime. Lo stesso vale per gli incroci con il tema delle nuove tecnologie e delle humanitas dove ci sono tanti temi discussi come l’etica dell’intelligenza artificiale per fare un esempio. Area dove dobbiamo investire di più così come tutta l’area dell’informatica applicata ai dati biologici e clinici, come la medicina individualizzata legata ai dati della genomica. Questa sono alcune delle aree sulle quali noi avremmo dovuto già puntare e che nel mio rettorato saranno messe al centro. L’altro elemento sarà una profonda revisione della didattica, basata su progetti e su evidenze che oggi non è così presente nel nostro ateneo.

Medicina, in Parlamento si sta discutendo nelle commissioni su una riforma del numero chiuso, qual è la sua proposta sulla questione?

Io immagino una facoltà di Medicina che risponda al contesto di offrire percorsi per gli studenti ma nello stesso tempo la immagino anche come l’ateneo che su Milano lancia una proposta di collaborazione con Bicocca e con Pavia, con le grandi università pubbliche che si occupano di Medicina, per creare un centro che effettivamente lavori sull’orientamento in ingresso. Perché credo che piuttosto che lavorare su test che non misurano necessariamente le abilità necessarie per essere un buon medico, si debba lavorare su processi che prevedano dei test psico-attitudinali, di momenti di mentorship, di momenti di affiancamento, per aiutarli a prendere una decisione meglio strutturata. Perché oggi di fatto abbiamo un brain drain che non viene rilevato, una perdita di talenti che è legata alle cattive scelte di molti studenti rispetto i percorsi, vale per Medicina ma non solo. L’orientamento viene lasciato alle scuole superiori ma non basta, se creassimo un grande centro di orientamento offriremmo un servizio utile a ragazze a ragazzi che oggi scelgono l’università non avendo sempre approfondito il loro potenziale e i loro veri desideri rispetto un futuro professionale.

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